L’affermazione di sé

“Il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati”. Con questo versetto del Salmo responsoriale introduciamo la Liturgia della Parola di questa XXXII domenica del TO che offre un messaggio rassicurante di un Dio che provvede ai beni materiali e alle esigenze morali ed affettive dei suoi figli.

Prima lettura

Il primo libro dei Re ci propone infatti la figura di una vedova che, fidandosi delle parole del Signore pronunciate tramite il profeta Elia, dona tutto quanto possiede e viene ricompensata con l’abbondanza degli alimenti.

L’episodio è ambientato al tempo del re Acab (874-853) il quale, avendo preso in moglie Gezabele, figlia del re di Sidone, commette ciò che nell’Antico Testamento è il peggiore dei mali, ossia l’idolatria, erigendo un altare a Baal e facendo costruire un palo sacro (1Re 16,29s).

In conseguenza di questo fatto, si scatena una terribile carestia tanto che il profeta, per ordine del Signore, va a vivere presso un torrente dove ogni giorno vengono dei corvi a sfamarlo portandogli pane e carne.

Il Signore continua a provvedere ad Elia attraverso una vedova che, rimasta anche lei ormai con una sola razione di farina e di olio (ultima possibilità di dar da mangiare al suo unico figlio) crede alla parola del Signore, mette a disposizione di Elia tutto quello che le è rimasto, e avviene che la farina e l’olio “non diminuirono, secondo la parola del Signore”.

Seconda lettura

La Lettera agli Ebrei ci porta a riflettere sulla generosità di Cristo che non offre dei beni, ma tutto Se stesso.

Egli, non con il “sangue altrui”, cioè quello di animali così come faceva il sacerdote, ma con la sua stessa vita (sangue = vita nell’AT), “una sola volta” ha fatto la sua offerta ottenendo di “annullare il peccato”.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal I Libro dei Re 17,10-16

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 145

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli ebrei 9,24-28

VANGELO
Vangelo di Marco 12,38-44

Vangelo

Il tema della disponibilità e della generosità ispirato dalla fedeltà del Signore, continua nella pagina del Vangelo. Marco ci presenta Gesù che continua ad insegnare presso il tempio di Gerusalemme e riporta le parole con cui Egli mette in guardia i suoi uditori dall’atteggiamento degli scribi.

Gli scribi erano coloro che si occupavano di studiare e custodire la Legge di Mosè. Il loro ruolo nei riguardi del popolo consisteva per lo più nell’attività di insegnamento e di guida morale ai fini di una retta applicazione della Legge di Mosè alle circostanze della vita.

Gesù li descrive evidenziando quattro loro atteggiamenti: passeggiare indossando lunghe vesti, ricevere saluti, risiedere nei primi seggi nelle sinagoghe e nei primi posti nei banchetti.

Effettivamente, questo stile di vita era ed è proprio di chi detiene una certa autorità e visibilità all’interno di una comunità, atteggiamenti che sono per certi aspetti inevitabili per chi occupa incarichi ‘pubblici’, ma Gesù interviene criticando un modus vivendi che non ricerca tanto la volontà di Dio per il bene comune, quanto piuttosto l’affermazione di sé attraverso il plauso della gente.

Inoltre Gesù li accusa di contravvenire ad una delle norme più importanti ( Dt 14,29) quale era quella di provvedere alle ‘categorie deboli’ e tra queste sono presenti le vedove delle quali invece essi “divorano le case”, forse approfittando del ruolo per ricevere ‘offerte’.

Il tono di Gesù è quindi severo perché pronuncia una sentenza di condanna nei riguardi di chi non solo utilizza la religione per attirare l’attenzione su di sé (“pregano a lungo per farsi vedere”), ma peggio ancora vuole arricchirsi attraverso essa e a discapito di coloro che già sono provati dalla vita! In continuità con questo messaggio, la narrazione ci porta in un preciso spazio del tempio, ovvero nel recinto dove era la ‘sala’ del tesoro e in essa la cassa per le offerte.

Il rito della consegna delle offerte comportava in alcuni casi la proclamazione ad alta voce della quota donata, ma solo se questa era cospicua. Anche questo gesto veniva utilizzato per ostentare la propria persona. In questo scenario in cui “molti ricchi ne gettavano molte (di monete)” ecco arrivare una vedova che “gettò due monetine, che fanno un soldo”.

L’esplicitazione “due monetine” marca la disponibilità della vedova a dare ‘tutto’ visto che, rientrando in una delle ‘categorie deboli’, poteva non donarle o almeno donarne una soltanto. Invece lei è additata da Gesù come l’esempio da imitare perché “ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”. La vedova assume il significato del sacrificio che di lì a poco Gesù farà di se stesso, condannato pure lui dagli scribi. Il testo greco dice infatti “gettò tutto quanto aveva l’intera ‘vita’ (ton bion)”.

Quella vedova dal cuore generoso, proprio di chi si fida totalmente di Dio, e che Gesù “seduto davanti al tesoro” sta guardando, è ‘annuncio’ della Sua stessa vita donata al Padre.

La vedova è comunque per tutti modello di generosità e di fiducia illimitata nella provvidenza divina perché, tenendo conto che l’offerta andava a favore della manutenzione del tempio e dell’esercizio del culto, gettando “tutto quanto aveva” ha dimostrato che l’amore per il Signore è più importante della sua stessa vita e che Egli non abbandona chi confida in Lui, piuttosto “sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (Sal 145).

Giuseppina Bruscolotti