‘Vorrei parlare con qualcuno per l’aborto, vorrei capire cosa si deve fare’. La risposta che ricevo è gentile, da una voce accogliente che mi spiega che per prima cosa devo fare un test di gravidanza in un laboratorio di analisi e quindi recarmi presso il servizio per la visita e il colloquio con l’ostetrica e la ginecologa che mi rilasceranno il certificato. Poi dovrò aspettare sette giorni (è il tempo stabilito dalla Legge 194 per dare alla donna il tempo di pensarci) prima di presentarmi all’ospedale che io sceglierò per l’intervento. Mi mostro dubbiosa, chiedo se ci sarà anche lo psicologo. ‘Se vuole possiamo chiamarlo dal Cim’. E l’assistente sociale? Idem, devono chiamarlo, ovvero ci sono solo su richiesta. Allora mi decido, dico che non sono sicura di volerlo fare. Una delle due persone che hanno risposto al telefono di due consultori del perugino, a questo punto mi prospetta anche la possibilità di contattare, se voglio, il Movimento per la vita, oppure se si tratta di problemi economici di parlare con l’assistente sociale. ‘Dopo l’intervento – aggiunge – le chiediamo di tornare per un controllo e per affrontare il discorso della contraccezione’. All’altro consultorio la persona al telefono si limita a ribadire che quando andrò potrò parlare con la ginecologa e l’ostetrica. Fine del colloquio. Resta il dubbio. Se non avessi manifestato con una certa decisione dei dubbi, sarei stata invitata a pensarci meglio? Probabilmente no. Il percorso dell’interruzione volontaria della gravidanza è un percorso medico: è previsto, di routine, solo il colloquio con ostetrica e ginecologa, e la preoccupazione primaria è quella di spiegare bene cosa fare per fare l’aborto entro i primi novanta giorni dal concepimento (dopo, la legge non lo consente se non per gravi e comprovati motivi di salute). Tutto ben organizzato (è prevista anche ‘l’urgenza’ se i tempi si fanno stretti) sotto l’aspetto sanitario per garantire il servizio: l’interruzione della gravidanza. Ma la legge (vedi box) stabilisce che i consultori ‘assistono la donna in stato di gavidanza’ ‘contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna’ a tale scelta. Per questo fine, che non è medico, i consultori non sono attrezzati e la conferma viene, indirettamente, dal Consultorio diocesano ‘La Dimora’ e dal Centro di aiuto alla vita cui si rivolgono anche donne che hanno avuto un primo contatto con il servizio pubblico senza trovare chi offrisse una alternativa alla scelta che stavano per fare. 2.293 ivg in Umbria. Solo il 37% passa per i consultoriIl problema dei consultori non si manifesta tanto quando la donna che chiede l’interruzione volontaria della gravidanza (ivg) dice ‘ci sto pensando, non sono sicura’, quanto nella routine degli interventi in cui non si valutano le motivazioni della richiesta e non si fa nulla per capire se veramente il ricorso all’aborto è l’unica risposta possibile in quella situazione. È questo il commento del dott Angelo Filardo, del Movimento per la vita di Foligno e della dottoressa Francesca Barone responsabile del consultorio familiare cattolico di Perugia ‘La Dimora’. Conferma indiretta viene dal fatto che gli assistenti sociali o il Centro di aiuto alla vita vengono chiamati dai consultori quando ci sono casi gravi, che significa minorenni con situazioni familiari e sociali difficili. Per il resto poco o niente. Eppure la Legge prevede anche questa possibilità. Anche l’ipotesi (peraltro prevista dalla legge 194) di aprire i consultori ad associazioni di volontariato è stata contestata da chi teme che sia una presenza confessionale e imposta (!?). L’esperienza del Movimento per la vita mostra che l’offerta di un aiuto concreto e di una vicinanza umana consente alle donne di cambiare la loro scelta. E ciò è ancor più vero quando si parla di donne immigrate, tra le quali si registra il più alto ricorso all’ivg. In Umbria nel 2003 (dati dell’assessorato regionale alla sanità) il 34,9% delle ivg è stato effettuato da straniere e tra queste il 58,2% (459) erano dell’Europa centro orientale ed il 19,8 % (156) dell’America centro meridionale. In Umbria nello stesso anno, in totale si sono praticate 2.293 ivg. Altro dato interessante, che mostra la complessità della valutazione sulla applicazione della 194, è relativo al luogo di rilascio della certificazione per l’ivg. Solo il 37,5 % delle donne in Umbria si è rivolta al consultorio; il 37,9 ha il certificato del medico di fiducia e il 23,5% del servizio ostetrico ginecologico (dati tratti dalla relazione del Ministro della salute sulla attuazione della 194, 31 agosto 2003). La legge pone anche al medico di fiducia e alla struttura socio sanitaria l’obbligo di ‘valutare con la donna e con il padre’ (ove la donna lo consenta) ‘le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza’ e ‘le possibili soluzioni dei problemi proposti’. È ciò che avviene o si limitano a rilasciare il certificato? Sarebbe interessante avere delle risposte.
Aborto. Scelta inevitabile?
La donna che vuole abortire parla con medici. Psicologi e assistenti sociali? Su richiesta
AUTORE:
Maria Rita Valli