Il secondo dei ricordi che conservo del vescovo Bottaccioli – di quando, per tutti noi eugubini, era semplicemente “don Pietrino” – è quello di un prete che, pur totalmente donato alla santa Chiesa di Dio che è in Gubbio, conservava dentro di sé un enorme potenziale d’indignazione. Lo dominava come si doma un puledro di razza lasciandogli le briglie sul collo!
Assisi, maggio 1950, dopo cena. È l’anno della sua ordinazione sacerdotale. Bottaccioli è il “prefetto della IV Teologia”, prefetto dei suoi compagni di corso. Il tradizionale “fioretto” del Mese mariano s’è appena concluso col (fermo) proposito di rispettare il silenzio durante il trasferimento dalla cappella alla zona notte. Gnaffe. Mentre la truppa risale lo scalone quadrato che sale dal pian terreno, il gran brusio testimonia che i corifei del (fermo) proposito chiacchierano di brutto.
E Bottaccioli si pianta al centro del piano di partenza dello scalone e con una voce affittata chissà dove grida: “Questo non è un fioretto, è un CAVOOOLFIOOOREEE!”.
Tempo dopo, primi anni ’60. Al lavoro, lui e io, nella sede eugubina de La Voce. Qualcuno apre la porta con un calcio. È il tenente dei carabinieri, in divisa. Faccia nera, occhi fuori delle orbite.
È successo che su una delle poltroncine del cinema Astra è stata affissa una targhetta con la scritta “Riservato alla forza pubblica”, ma quasi sempre quel posto è occupato dalla prosperosa moglie del tenente. E Marcello Berettini, un cuore dalla fragilità fisica inversamente proporzionale alla lucidità morale, reattivo soprattutto di fronte alla retorica e alle violenze di piccolo cabotaggio, con un trafiletto succoso come un babà ha aperto un dibattito (si direbbe oggi) su come e qualmente la corposa signora potesse essere considerata “forza pubblica”.
Il tenente entra di slancio. Cappello in testa. Non saluta. “Io voglio sapere chi ha scritto quel… (parolaccia)”. Don Pietrino trema appena: “Beh… vede… sa… da noi si usa bussare e, non me ne voglia, togliersi il cappello quando si entra in casa d’altri”. Gnaffe. “Io voglio sapere chi ha scritto quel…”: Effettivamente il trafiletto non era firmato, e a buona ragione: Marcello era direttore dell’Azienda autonoma soggiorno e turismo. Don Pietrino deglutisce ripetutamente. “Beh, veramente… vede… lo sanno tutti che quando un articolo di giornale non è firmato, la responsabilità è del direttore”. “Io voglio sapere chi ha scritto quel…”.
Bum! Il tappo è saltato: “Fuori!”, con la mano tremante protesa verso la porta. “Io voglio sapere chi…”. “Fuoorii!”. “Io voglio…”. “Fuooooooriiiiii!”.
Non ricordo se il signor tenente avesse la coda. Certo è che se ne aveva una, mentre usciva col cappello in mano, la teneva fra le gambe.