Nelle nostre omelie, spesso la dimensione civile dell’impegno cristiano è assente. In passato c’è stata, e anche in eccesso, quando ci veniva imposto di insegnare ai nostri fedeli per chi votare, o addirittura quale candidato preferire tra quelli della lista che consegnavamo loro.
I pochi preti che sopravvivano tra quelli ordinati in vista della metà del secolo XX ricordano con terrore l’enorme disagio che provocò loro l’obbligo di domandare ai penitenti per chi votavano, e se votavano Pci o Psi dovevano informarli che erano scomunicati e negare loro l’assoluzione. Fortuna che molti… disobbedirono. Ma il danno per la Chiesa fu enorme.
Dopo il Concilio e la salutare distinzione/integrazione fra regno di Dio e Chiesa, nelle nostre omelie l’istanza civile non può mancare, ma deve configurarsi come un appello all’appartenenza cristiana di chi ci ascolta, perché ognuno si faccia carico del bene comune. Nei modi che la sua coscienza sente come giusti. Senza pretendere che tutti la pensino come lui. Senza sentirsi protagonista di nulla, visto che (ce lo dice il Vangelo di domenica prossima) siamo tutti servi inutili, e quando abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, dobbiamo… metterci seduti e dire a noi stessi: “Siamo servi inutili”.
Qui è lo snodo centrale: chiedere a noi stessi innanzitutto, e poi a coloro che ascoltano le nostre omelie, se veramente abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare per il bene dei nostri fratelli uomini. La tentazione di rinchiudersi nel proprio privato si ripropone costantemente; le “anime belle”, preoccupate solo del proprio personalissimo rapporto con Dio, sono dure a morire. Per loro il mondo è una specie di anonima macchia grigia, giù in fondo, fuori dai propri interessi: “Facciano quello che vogliono, gli uomini che si affannano sui mille sentieri della vita, io il mio rapporto con Dio lo coltivo nel mio giardinetto privato” (il famoso hortus conclusus).
Eh, no! Non ti accorgi che è tornata in primo piano la famigerata accoppiata io/mio che umilia, privatizzandola, la testimonianza cristiana? Che è sempre e comunque al servizio di tutto il mondo.
Come dire: c’è mondo e mondo. Il mondo come mentalità che pretende di capire la vita prescindendo da Dio e da Cristo va tenuto a debita distanza, e invitato a ripensare questa sua micidiale perversione, Ma il mondo come insieme di tutti gli uomini che corrono, o più spesso arrancano, sulla crosta della superficie terrestre va amato, semplicemente amato e preso in considerazione in tutte le sue attese, grandi o piccole che siano.
Abat jour – Nelle nostre omelie
AUTORE:
Angelo M. Fanucci
Homo vivens gloria Dei.