Fu il niet del mio vescovo a buttarmi dalla spalletta del gran fiume di Capodarco a testa all’ingiù.
Prima che quell’estate 1970 cominciasse, con don Lanfranco Conti e don Giuliano Salciarini ci eravamo impegnati a farci carico in solidum di una parrocchia (S. Marco), che avremmo portato avanti con uno stile – diciamo – comunitario. Vi risparmio i particolari. Dico solo che, dopo l’esperienza vissuta a Capodarco in estate, l’epicentro del nostro progetto sarrebbe inevitabilmente stato una parrocchia che fosse la casa di tutti, ma soprattutto la casa dei poveri.
Ce lo accetterà, la nostra Chiesa di Gubbio, questo nostro progetto? Il Vescovo Parodi aveva demandato la risposta al Consiglio Pastorale Diocesano
Poco prima che avesse termine l’ultimo dei campi di lavoro sudato in faccia al mare di Porto S. Giorgio mi telefonò don Pietro Bottaccoli, Segretario del Consiglio Pastorale Diocesano, oggi vescovo emerito di Gubbio: “Il Consiglio Pastorale Diocesano ha approvato il vostro progetto!!”. Hip! Hip! Urrà. Grida d’esultanza e fiumi di champagne, pardon: d’acqua minerale gasasta. Anche i “ragazzi” che con me avevano lavorato sodo a Capodarco erano certi che il progetto approvato sarebbe stato impregnato di quel particolare “spirito comunitario” che ci aveva tutti coinvolti .
Sogni. Appena tornato a Gubbio, salii dal Vescovo Parodi per “stringere”. Ma lui. “Ci ho pregato tanto!!”. Disse di no. No. Niet, diceva Stalin. “Tu sei un bravo prete, ma non saresti un bravo parroco!”. Fiele col dolcificante. La testa mi scoppia, lo stomaco mi fa male. Solo un rantolo, roco, aggressive, rabbioso: “E lei non è che non sarebbe, ma NON È un buon vescovo!”
Basta! Dalla mia diocesi non voglio più nulla! “Ma accetta almeno una cameretta per dormire!”. Sì, l’accetto solo perché da solo non ce la faccio. Ma mangio in trattoria, a 750 lire a pasto, dalla Giuliva, la mamma di Beniamino. In via Gioia. Lo feci fino a metà del 1971.
Niet. Com’è facile per un vescovo accoltellare un giovane prete! Poi, a primavera, arrivò don Franco Monterubbianesi. “Senti un po’, ci hanno donato un grande appartemento a Fabriano, dobbiamo però occuparlo entro cinque anni, e questo 1971 è il quinto: te la sentiresti…?”: Me la sentii. “Ci faremo una comuntà dove i disabili che hanno dovuto lasciare gli studi a causa del loro handicap possano recuperare, grazie e te, gli anni perduti”. Sì, me la sento.
Passai l’estate del 1971, l’ultima coi miei ragazzi del Movimento Studenti Eugubino, a Fabriano, in via Gentile 26, a rendere abitabile il primo piano di Palazzo Zonghi Lotti, in centro, bello e pieno di polvere, dopo trent’anni d’abbandono. E alla fine dell’estate caricai le mie carabattole su di un motocarro e mi trasferii nella Città della Carta, a condividere la vita di quei primi handicappati che vennero da Capodarco a dar vita alla Comunità “La buona novella”.
Niet. Se può traformare le pietre in figli di Abramo, che Gli ci vuole, a Lui che è nato 2.000 anni fa e nasce dopodomani, a transformare il niet d’un vescovo in un sì della sua Provvidenza?