E’ stata una gioia il giorno in cui ho scoperto la cultura delle autonomie. Frequentavo la facoltà di Lettere classiche all’Università di Perugia; staccato di due lunghezza da don Giuseppe Chiaretti; staccato di una sola lunghezza da don Ennio Antonelli. E per quanto riguarda Machiavelli, ero ancora convinto di quello che avevo bevuto come un “locco” al liceo: ser Niccolò (m’avevano detto) era un furbastro; non meritava la corona d’alloro che portavano in testa a Santa Croce. Leone vestito da agnello (mi dissero, e io ci credetti), avrebbe insegnando agli uomini che il fine giustifica i mezzi, lanciando il primato del più fetido opportunismo politico. Come se già da secoli gli uomini, l’opportunismo politico, non lo praticassero assiduamente, magari dietro speciose coperture ideologiche di ogni tipo, anche di taglio morale ( “Un po’ di bene si può fare anche quando…”): copertura ideologica, una scusa a voltaggio universale.
In Italia i docenti di scuola media superiore che rilanciano anche oggi questa panzana sull’autore del Principe sono ancora una legione. E ser Niccolò de’ Malclavelli continua a rivoltarsi nella tomba.
Già, lui che ha insegnato che la politica (“come ogni altra branca dell’attività umana”, hanno aggiunto quelli che l’hanno capito) ha un suo ambito, delle leggi proprie, delle esigenze tutte sue; che non sono l’ambito, le leggi, le esigenze della vita del mondo, ma solo l’ambito, le leggi, le esigenze della costruzione del bene comune hic et nunc (qui e adesso), nelle concrete contingenze in cui vive chi ha la responsabilità del bene comune. Che questo ambito, queste leggi, queste esigenze vadano composte con altri ambiti, altre leggi, altre esigenze, morali innanzitutto… questo è un altro conto. Necessario, ma “altro”.
Entusiasta di questa formidabile intuizione, l’ho applicata a tutte le situazioni culturali che ho via via incontrato, tutte… tranne la mia.
Fondatore di comunità d’accoglienza, per vocazione e per cultura ho sempre dato per scontato che la comunità di accoglienza non è un’azienda. Quando questa bella pensata aveva già provocato una montagna di debiti, la mia Comunità è stata presa in mano dal mio presidente nazionale, don Albanesi, e dai due angioletti che si è scelto come ceroforari: l’ex direttore della Finanziaria della Regione Umbria, Ennio Palazzari, e l’avv. Mario Monacelli. Birichini! Invece di cantare dolcemente col candore di bimbi della prima comunione (mani giunte, guanti bianchi): “Oh che giorno beato il Ciel ci ha dato”, hanno preso in mano le redini della mia Comunità e si sono messi a gridare, con la grazia delle trombe del Giudizio universale: “Una comunità di accoglienza si gestisce anche come un’azienda!”.
E m’hanno messo in ibernazione in una cassa foderata di ottone da 0.8 mm. Da dove vi saluto e vi auguro ogni bene.