Sono state due giornate splendide, quelle trascorse a Capodarco di Fermo per celebrare i primi 50 anni di vita della Comunità di Capodarco, l’11 e il 12 novembre. Splendide davvero, intorno a un don Vinicio in eccezionale spolvero, intorno a un don Franco che i suoi 85 anni li ha pervicacemente dimenticati. Una celebrazione degna di una grande storia, fatta soprattutto da quelli che il Vangelo chiama “i piccoli” e che sono tali solo per noi uomini che non siamo ancora guariti dalla miopia cronica contratta col peccato originale.
Ho parlato anch’io, che da 46 anni ci sono dentro fino al collo, eppure ho anch’io degli attacchi di miopia, un giorno sì e l’altro pure.
Ho detto anche io la mia, su due punti diversi: ovviamente li rateizzo tra questa pallente Abat-jour e quella prossima, che ogni volta spero meno fioca.
Mi sono chiesto innanzitutto: quando è nata la Comunità di Capodarco? Tutti dicono: quando sul treno bianco che tornava da Lourdes nell’estate del 1965 con 1200 disabili a bordo, don Franco lanciò l’appello famoso: “Chi vuol essere protagonista della propria vita e uscire dalla prigione del pietismo, venga a vivere in comunità con me!”.
No, quello non fu il primo, ma il secondo atto. La Comunità di Capodarco nel cuore e nella mente di don Monterubbianesi nacque qualche ora prima. Caution! Nacque quando lui, che per realizzare la comunità che aveva in testa puntava moltissimo sul volontariato, si rese conto che in giro c’era del volontariato contraffatto, come le mozzarelle verdognole prodotte in Romania.
Caution! Era l’ultimo giorno del pellegrinaggio. Nelle messa antelucana a essi riservata, “barellieri” e “damine” – vale a dire tutto il personale che in quei cinque giorni aveva dato risposte esemplari a tutti i bisogni di quei 1.200 handicappati – erano catechizzati dall’anonimo Reverendo Capo del Pellegrinaggio.
“Ricordatevela! Ricordatevela sempre, l’esperienza splendida che in questi giorni avete vissuto qui a Lourdes”. Ricordarsene. Incorniciarla. Appenderla sopra il caminetto.
Don Franco afferrò il microfono: “Ricordatevi piuttosto di loro, di queste 1.200 persone: hanno vissuto cinque giorni di calore. A casa o negli istituti… li attendono 360 giorni di gelo!”.
Silenzio assoluto. Assolutamente assordante. Solo in quel momento, come totale alternativa all’autogratificante condivisione del cuore, era nata la vera Comunità di Capodarco, come convivenza totale tra disabili e “sani”, punto e capo.