I miei mi dànno del matto. “Con la nostra barchetta, pensi di speronare la corazzata Asad!”. No, vorrei solo che le cooperative facessero solo quello per cui sono state pensate: creare impresa in cui operaio e padrone si identifichino. E che le cooperative sociali si misurassero solo sul tipo di beneficio che portano alla persona debole che lo Stato laico affida loro, e non sulla voglia di carriera del politico che senza di loro arriverebbe forse a Settebagni, certo non a Montecitorio.
Prima di tutto, il bene dell’utente. Mi spiego con un altro esempio. 1976, 13 maggio, 50 anni esatti dalla prima apparizione della Madonna a Fatima, le cui fattezze nella chiesa di S. Girolamo ripropone una bella statua in legno che viene proprio dalla Cova da Irìa di Fatima. Proprio oggi la Regione Umbria (delibera n. 1674), riconosce la Comunità di S. Girolamo (Centro lavoro cultura) come Centro di recupero medico-sociale (autogestito), a norma della legge 118/1972. Da oggi possiamo rendere servizi socio-sanitari a soggetti con deficit fisico, psichico e sensoriale, sia in forma residenziale, sia in forma di seminterrato, sia in forma ambulatoriale.
Quest’ultima forma, l’ambulatoriale, è quella che maggiormente interessa il territorio. Salgono a S. Girolamo, per la fisioterapia, molti disabili, da Gubbio e dai territori vicini. La nostra piccola palestra per qualche tempo funzionò a pieni giri, impegnando ben sette fisioterapisti.
Ma a metà degli anni ’80 l’Usl (Unità sanitaria locale), che nel frattempo era divenuta Asl (Azienda sanitaria locale) decise che l’attività ambulatoriale l’avrebbe fatta solo lei. “Lasia! Lasia! Ciapa tuto mi” gridava a suo tempo un portiere veneto del Gubbio Calcio, e incassava goal in quantità industriale.
“Guardate che state facendo una sciocchezza!” tentai di dire agli Illustri Responsabili. “Perché?”. “Perché a S. Girolamo chi da poco ha subìto un ictus ed è tentato di pensare che la vita è finita, viene a contatto con disabili che la comunità la governano a onta della loro disabilità, anche gravissima”. Silvana, distrofica che tiene la contabilità, Clara che organizza la vita di tutti pur disponendo solo di metà del braccio sinistro (e solo fino a 80 cm dal suolo), Doretto che col suo improbabile tarabaccolo trasferisce i suoi 180 kg di peso là dove il bene della comunità lo vuole, Antonietta, neo-laureata in Medicina e specializzata col massimo dei voti, che cura al meglio quello che lei stessa vive. Picche. “Lasa! Lasa! Ciapa tuto mi!”. Quanto è costato, in termini umani il loro niet?
Ho fatto un passo indietro: mi sono dimesso da presidente della Cdcdu perché queste e le altre battaglie che ho perso le riprenda il presidente nazionale don Vinicio Albanesi che, a onta del titolo di monsignore che gli sta bene come il cappello di Arlecchino sulla testa di una madre superiora, ha 5 anni di età meno di me, ma dispone di 5 quintali di sapienza più di me.