La notizia arrivò come una bomba: Franchino compie 50 anni! Nooooo! Sììììì!
Eppure il tempo, per Franchino come per ognuno di noi, era avanzato con il passo di sempre: 60 secondi fanno un minuto, 60 minuti fanno un’ora, 24 ore… Meravigliarsi alla notizia che anche per lui erano scoccati i fatidici 50 anni non aveva senso; ma noi della Comunità di Capodarco del’Umbria, e con noi i tanti nostri amici, eravamo tutti rimasti fermi al 1974, al momento in cui era arrivato sul monte Ansciano, nell’ex convento di San Girolamo dall’ospedale pediatrico di Siena; piccolino, sorridente sulla carrozzina fatta per lui su misura; e poco dopo, su istigazione di quell’uomo eccezionale che era il giudice del tribunale dei Minori di Perugia, Giorgio Battistacci, io l’avevo adottato.
Aveva 10 anni, allora, Franchino, sei dei quali passati in ospedale non perché soffrisse di qualche patologia particolare, tale da giustificare il ricovero, ma perché la mamma lo aveva depositato lì un giorno e poi non s’era più fatta viva. Era tetraparetico, soffriva di dislessia e di ritardo mentale (mentale, non affettivo!) di media gravità, nulla però che giustificasse un ricovero in ospedale.
Già, allora: ma da quell’“allora” sono passati 40 anni, e Franchino è diventato… Francone. Li abbiamo vissuto sempre insieme, questi 40 anni. E da 28 anni dormiamo nella stessa camera. E i miei molti (troppi) libri di teologia e di antropologia teologica non sono riusciti a spiegarmi che cosa io abbia fatto per meritarmi una simile grazia.
Abbiamo organizzato per lui una grande festa. Per lui e per Massimo Bongarzone, che compiva anche lui 50 anni ed è venuto in comunità da Gualdo Tadino poco dopo l’arrivo di Franco, anche lui portatore di una modesto handicap psico-fisico e di una formidabile capacità di amare.
Perché lo snodo della questione è tutto qui: nella grande capacità di amare che anche un disabile serio può esprimere. Nell’invito a far festa con noi, che per l’occasione ho rivolto agli amici, dicevo: “Al di là del chiasso che fanno tutti quelli che ne occupano la ribalta, il mondo è pieno di persone perbene, di donne e uomini per – bene, di gente comune che vive per il bene, così come la sua coscienza glielo rivela in modo silenzioso, profondo e imperativo. Massimo e Franco, con la loro coscienza che della vita percepisce nettamente l’essenziale, la sua anima profonda, non l’hanno mai dimenticato, il Bene, e momento per momento, nel cuore della Comunità di Capodarco dell’Umbria, hanno vissuto per il Bene ogni giorno dei loro 50 anni.
Quel Bene che per tutti è il volto di Dio, anche per quelli che come loro non riescono nemmeno a pensare Dio, anche per quelli che Dio pensano di doverlo ignorare o ne negano l’esistenza.
Franco e Massimo se la meritano tutta, la festa che facciamo con loro e per loro”.