Caro san Paolo, non si conoscono un comunicatore più convincente di te, né un polemista più puntuale di te. Eppure l’uso liturgico quotidiano spesso slava e depotenzia anche le tue più pregevoli performances.
Ma a volte capita che la tua parola recuperi in un attimo tutta la sua forza.
A me è capitato con il brano della tua Lettera ai Galati che ci è stato proposto come prima lettura del mattutino per la festa di santa Scolastica il 10 febbraio scorso: sono rimasto un buona mezz’ora con la barbicchia appoggiata allo sterno, a riflettere come si possa in pochi versetti concentrare la sintesi mirabile di una vita mirabile.
“Io ho devastato la Chiesa di Dio”, dài Paolo, su, non esagerare! Certo che quel tonfo sulla via di Damasco è stato come lampo accecante per tutta la tua vita, un lampo che l’ha riassunta tutta in un punto solo, da quando riposavi nel calduccio del seno materno e la chiamata risuonava, sì, ma lontana come un violino tra le stelle, a quando quella chiamata ebbe un volto, quello di Gesù, e divenne un imperativo categorico: dedicarti tutto e per sempre a annunziarlo ai pagani; fino a quando quel poveraccio dell’antenato di Mastro Titta ti tagliò la testa. Capiscilo, Paolo: non c’era altro modo per arrestare il flusso delle tue idee, il tuo amore folle per quel Gesù che, pure, di persona non avevi conosciuto.
Solo dopo tre anni salisti a Gerusalemme per confrontare, in un serrato colloquio di quindici giorni, il tuo personale carisma con quello ecclesiale di Cefa. Che vi sarete detti? Avrei dato vent’anni di vita per poter origliare da dietro la tenda di fondo.
Da quel momento non perdesti un istante, via! A evangelizzare a sudest del Giordano, per risalire poi a nord, verso la Siria, subito!, senza preoccuparti di averne un mandato da coloro che erano apostoli prima di te. Ma la Siria e la Cilicia non sono abbastanza grandi per il tuo desiderio vorace. Più a nord c’è la Panfilia, e l’Anatolia, e la Macedonia e la Grecia, e… Roma! I giudeo-cristiani ti vedono sempre come “colui che una volta ci perseguitava”, e a titolo di garanzia vorrebbero che Tito venisse circonciso.
Poi di nuovo a Gerusalemme, per verificare se avevi “corso invano”. Infine la mano tesa di Pietro, di Giacomo e di Giovanni (“ritenuti le colonne”) a riconoscere che non avevi affatto corso invano, ma Colui che tramite Pietro aveva agito con i circoncisi, tramite te aveva agito per i pagani.
Andate – dissero a te e a Barnaba. – “Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri”. Come? Ho capito bene? Siamo nel I secolo, oppure oggi è il 13 marzo 2013? Verificherò.