L’ultimo numero del nostro settimanale ha dedicato molto spazio alla prima uscita dell’Acradu, l’associazione cattolica delle residenze per anziani e disabili dell’Umbria. Doverosamente. C’ero anch’io tra i presentatori dell’iniziativa, nell’Aula del Dottorato dell’ex seminario maggiore di Perugia. Insieme con Pasquale Caracciolo, mons. Paglia, don Matteo Rinaldi. Quarto fra cotanto senno (il padre Dante, a suo tempo, spuntò solo un mediocre sesto posto), ho ascoltato quello che hanno detto i miei illustri colleghi, ho detto la mia, e adesso la prolungo alla luce fioca di questa abat jour: il lettore lo sa, questa mia non è di quelle lampade moderne, agili, prepotenti, una sorgente di luce a forma di mezza sigaretta che potrebbe illuminare un capannone industriale. No. La mia è una lampada di fine 800, in ottone, goffa come un cappellino dismesso dalla Regina Elisabetta, con una lampadina a forma di melanzana triste; fioca.
Fioca quanto basta per poter lumeggiare un assunto: quello che abbiamo proposto in quella sede era anche rivendicazione, era anche offerta di un servizio ai membri deboli che ci vivono accanto. Ma prima ancora era evangelizzazione. La Chiesa che si fa prossima ai deboli innanzitutto evangelizza. Esiste un’evangelizzazione per verba, buona se adatta l’Annuncio, senza tradirne la sostanza, alla sensibilità di chi ascolta.
Ma esiste anche un’evangelizzazione per res, che si propone, a mente della I lettera di Pietro, di rendere ragione della speranza che è in noi e che traspira dalle nostre scelte. Come mai, in un mondo come il nostro, dove i ragazzi ventenni sono tutti (quasi tutti) atletici e le ragazze ventenni tutte (quasi tutte) bellissime e decise a dimostrarlo esibendo in TV sontuosi quarti di nobiltà corporale, come mai su questo sfondo voi scegliete gli ottantenni o i ventenni disabili? Una domanda del genere costituirebbe un ottimo incipit per un’evangelizzazione seria.
Seria: che non dia l’impressione che il Figlio di Dio sia venuto tra noi (solo) per i professori universitari. Seria: che ci convinca che l’asettica imparzialità delle moderne democrazie è (solo) uno strumento per perpetuare l’ingiustizia. Schierarsi, occorre; à coté des émarginaux, come diceva Paolo VI.