Il Vangelo di questa domenica si può leggere diviso in tre parti, di cui la prima articolata a sua volta in tre parti: la parabola della zizzania, quella del microscopico granello di senapa, che cresce fino a diventare un arbusto e quella del poco lievito capace di fermentare una massa di farina (Mt 13,24-33). Segue l’osservazione dell’evangelista Matteo, sul perché Gesù parli in parabole: per adempiere le parole dei profeti (13,34-35). In ultimo c’è la spiegazione della parabola della zizzania, su domanda dei discepoli (13,36-43).
Ci concentriamo sulla parabola della zizzania. L’enigma proposto da Gesù alle folle, parte da un episodio immaginario, ma assolutamente verosimile. Gli ascoltatori devono aver pensato automaticamente ad un piccolo proprietario, che aveva seminato personalmente buon grano nel suo campo. La seminagione era considerata opera santa, che spettava al padrone eseguire personalmente. In paese c’è però un nemico del proprietario, che decide di vendicarsi di un vecchio torto, vero o presunto. Egli nottetempo mette in opera la sua vendetta, seminando zizzania tra i solchi del grano. Il padrone però ha ingaggiato operai zelanti, i quali scoprono che in mezzo al grano c’è del loglio; e lo consigliano di sradicarlo.
Il saggio proprietario sa che il loglio cresce in ceppi e che, se viene sradicato, può trascinare via anche il buon grano. Allora decide di aspettare la mietitura; allora si farà la cernita decisiva. Qui termina la parabola e ha inizio il lavorio degli ascoltatori, il gruppo dei primi discepoli e le folle, che devono cercare di sciogliere l’enigma. Evidentemente il compito si rivela complicato anche per i discepoli. Chi è il seminatore? Chi è il campo? Chi è il nemico? Chi sono i mietitori? Chi è il buon grano? Chi è la zizzania? Evidentemente non se la cavano e chiedono aiuto al Maestro: “Spiegaci la parabola della zizzania” (13,36). Gesù accetta di fare ciò che di solito non si faceva: sciogliere l’enigma a favore dei discepoli. Siamo all’ultima parte del Vangelo di oggi; il Maestro identifica il seminatore, il campo, il nemico, il grano, la zizzania, i mietitori e la mietitura.
La spiegazione termina con la frase, ormai nota, che ci saremmo aspettati alla fine della parabola, non alla fine della sua spiegazione: “Chi ha orecchi, ascolti” (13,43). Dunque l’enigma non è del tutto sciolto. La palla pertanto oggi passa a noi. Ci è chiesto di provare a capire la nostra vita e la nostra storia alla luce della parabola. C’è in tutti noi una naturale tendenza a “sradicare”: via la zizzania, rimanga solo il buon grano; via i malvagi, i drogati, i ladri… rimangano solo i buoni, anzi i migliori; fra i quali, del tutto spontaneamente, ciascuno di noi si sistema, senza sapere peraltro se Dio è dello stesso parere. La nostra smania di sradicare coincide con il nostro presunto diritto a giudicare, dimenticando la Parola del Signore, che dice di non giudicare per non essere giudicati, perché con la stessa misura con giudichiamo, saremo giudicati. Anzi ci è chiesto di perdonare settanta volte sette, se vogliamo che il Signore faccia con noi altrettanto.
La verità è che, nella storia, grano e zizzania vivono mescolati. Non esistono da una parte tutti i buoni e dall’altra i cattivi. Il bene e il male vivono mescolati perfino dentro di noi. Nessuno è così luminoso da non avere in sé zone tenebrose; né c’è qualcuno così tenebroso da non portarsi dentro un po’ di luce. Da dove nasce questa situazione contraddittoria, che nessuno vorrebbe, che tuttavia rimane lì senza via di scampo? Come mai, nel nostro campicello interiore, grano e zizzania crescono inestricabilmente mescolati? La risposta sta nelle parole del padrone: “Un nemico ha fatto questo”. Nello sciogliere la parabola, Gesù precisa, tra l’altro, che “il nemico è il diavolo”. Anche le antiche Scritture lo testimoniano: “La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,24).
La paura della morte è la radice di ogni malvagità. In origine l’uomo fu creato da Dio luminoso e libero. Fu l’uso dissennato della libertà a farci sprofondare in questa contraddizione, noi e la storia che ci trasciniamo dietro. Realtà di cui tutti facciamo esperienza ogni giorno: “Quando provo a fare il bene, avverto che il male è accanto a me… c’è in me volontà di bene, ma non capacità di realizzarlo” (Rm 7,18). Realtà dura da accettare, ma innegabile. Si tratta di fare spazio al combattimento, che il male e il bene hanno ingaggiato dentro di noi; noi siamo, nello stesso tempo, terreno di scontro e desiderio di preda, da parte dei contendenti. È necessario prendere posizione per uno dei due. Le nostre scelte quotidiane, piccole o grandi, dicono per quale dei contendenti parteggiamo.