Festa di Cristo re dell’universo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XXXIV Domenica del tempo ordinario Cristo Re - anno C

È con questa festa che si conclude l’anno liturgico, l’anno della preghiera comunitaria scandita da celebrazioni che ci hanno fatto rivivere la vicenda di Gesù e ci hanno consentito un ricordo plenario del suo insegnamento. L’atto di fede in Gesù e la descrizione del suo ruolo nella storia e nel cosmo è tratto dalla lettera di Paolo ai cristiani di Colosse ed è un singolare, ammirevole inno cristologico. Gesù è il redentore di tutti noi dal peccato, l’immagine di Dio invisibile, lo strumento e il fine della creazione di tutto ciò che esiste nel cielo e sulla terra e che sussiste in lui, ha quindi il primato su tutte le cose. Egli è quindi il capo del corpo ecclesiale, il primogenito dei risorti, la pienezza d’ogni grazia, il ricapitolatore di tutto (Ef 1,10), il riconciliatore d’ogni cosa con Dio Padre mediante la croce.

La signoria dell’universo è intesa come “regno di verità e di vita, di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore, di pace”. È importante però ricordare la scaturigine storica e l’emblema di questa signoria, che non rassomiglia neppure lontanamente alle signorie degli uomini: è la croce, con la successiva risurrezione dai morti: il sigillo di Dio! Il nostro re, beffeggiato dai suoi oppositori sino alla disumanità più disumana, è appeso ad un patibolo e da quello “regna”, prototipo di tutti gli assassinati senza colpa alcuna, anzi capace ancora di un dono a coloro che consapevolmente lo stanno uccidendo, con immenso strazio della Madre e dei pochi amici presenti. Il dono, che fa dall’alto della croce, è il perdono perché, dice Lui, i suoi carnefici “non sanno quello che fanno”.

La sua è una signoria radicale e plenaria che può dire al ladro che sta morendo con lui sulla croce e si fa testimone della sua innocenza: “Sarai con me oggi nel paradiso”. Nacque così il “santo ladrone”, che la Chiesa nel suo calendario festeggia il 25 marzo d’ogni anno, nella solennità dell’annunciazione del Signore a Maria, e cioè a colei che fu diretta testimone di questa singolare conversione in extremis. Tale conversione s’ebbe anche nel centurione romano che doveva garantire la perfetta esecuzione della condanna, il quale, “visto ciò che era accaduto, dava gloria a Dio dicendo: ‘Veramente quest’Uomo era giusto!’” (Lc 23,47).

Mai una “signoria” è stata contrastata come quella di Gesù, caratterizzata da un trofeo macabro, la croce. Eppure proprio dalla croce Cristo regna! Se la croce senza Cristo è una follia, la croce con Cristo è una compagnia che incoraggia e rende denso di valore e di significato la sofferenza dell’uomo, poiché la croce cristiana è redentiva, integra la croce di Cristo e, come quella, sfocia sempre nella risurrezione. Non meraviglia quindi che il brano evangelico proposto alla nostra considerazione narri proprio il culmine dell’ignominia cui è sottoposto Gesù: gli scherni degli avversari, dei soldati, d’uno dei condannati a morte, del titulum con la motivazione di morte posta sul suo capo. In tutto questo buio s’accende però una testimonianza di verità e un grido di pietà, quello del “santo ladrone” accanto a Gesù: “Lui, Gesù, non ha fatto nulla di male”. E al facinoroso omicida Gesù morente dette subito una risposta regale, ad indicare la sua sovranità vera nell’ambito del destino d’ogni uomo. Regnavit a ligno Deus, dice la liturgia della Chiesa.

È su questo scanno ligneo, impregnato di sangue divino, che il Signore è re dell’universo! Per questo crux stat dum volvitur orbis, e cioè “la croce sta salda mentre il mondo gira!”. E quell’oggi, tipico del tempo della grazia, sta a dire, come in altri casi (ad es. a Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”, Lc 19,9), che Gesù è veramente l’arbitro dei destini dell’uomo, di ogni uomo. E tuttavia quella croce e quel Cristo crocifisso dà oggi fastidio col pretesto della libertà d’ogni culto che i cristiani hanno sempre rispettato. Il Crocifisso è per noi anche il simbolo d’ogni giusto sofferente, d’ogni emarginato, d’ogni umiliato che attende giustizia e verità.

A ogni battezzato una piccola croce d’oro fu donata come emblema identitario il giorno del battesimo: i cristiani abbiano il coraggio di portarla sempre al collo e di mostrarla senza mascheramenti e senza iattanza. E non si vergognino di fare su di sé il segno della croce nei momenti significativi della giornata. Sarebbe anche il caso di far tornare in uso il saluto che invalse anni fa con l’introduzione della festa liturgica di Cristo Re: “Cristo regni!”, “Sempre!”.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti