Paolo ricorda al suo discepolo Timoteo che tutta la Scrittura è ispirata da Dio e diventa quindi oggetto di fede, tenendo ovviamente conto dei diversi generi letterari, e cioè della sua complessità e storicità; ma è anche “giovevole per insegnare, riprendere, correggere, educare nella giustizia”. È una affermazione che colloca la Parola di Dio al cuore della nostra fede, ma anche dei comportamenti e dei parametri educativi che ne derivano. Non possiamo quindi fare a meno di questa Parola, che per i credenti in Cristo è diventata persona storica concreta in Gesù, di cui la Chiesa trasmette al vivo l’insegnamento. La nuova evangelizzazione, della quale la società e la stessa Chiesa hanno oggi urgente bisogno, non può non partire, nella sua marcia verso la Verità, dalla Parola di Dio incarnata in Gesù. Talvolta, anzi, argomentare su Dio può essere difficile, perché non è sempre agevole parlare oggi, in tempi fluidi e contraddittori, di realtà trascendenti con argomentazioni logiche e metafisiche.
Ma parlare di Gesù, personaggio ben documentato nella nostra storia, può essere talora più efficace, perché si tratta d’un linguaggio più concreto. E questo potrebbe comportare anche l’uso di “nuovi linguaggi” per parlare oggi di Dio, mistero ineffabile, a chi è lontano dalla esperienza religiosa e, per cultura o per mala educazione, ha bisogno quasi di “imparare” una nuova lingua, trovando la lingua religiosa tradizionale un po’ desueta. A Timoteo perciò Paolo dice: “Rimani saldo nelle cose che hai imparato e che credi fermamente fin da bambino, e ricorda da chi le hai apprese”. La memoria torna di nuovo a nonna Loide e a mamma Eunice, ricordate espressamente nella prima lettera (1 Tim 1,5). È di fondamentale importanza l’educazione alla conoscenza di Gesù e del suo Vangelo data dalla famiglia, chiamata in prima istanza non solo a generare figli e a far germogliare la fede nel loro cuore, ma, vista la consuetudine di vita che c’è con i figli piccoli, anche a trasmettere valori sul piano sociale e religioso.
È il tema, oggi drammatico, dell’educazione dei figli dalla prima età all’adolescenza, alla giovinezza. Occorre che ci sia una vera e propria mobilizzazione delle Loidi e delle Eunici di oggi (nonne e mamme e zie) per la educazione al senso del sacro, del divino, del mistero, della preghiera sia dei piccoli che dei fanciulli, senza fiabe e senza superfetazioni del devozionale. Siamo grati all’apostolo Paolo per il tono confidenziale delle sue lettere private a singole persone, perché ci trasmettono squarci di vita cristiana vissuta. La prima e la terza lettura ci propongono di nuovo il tema della preghiera nel suo aspetto di continuità e di insistenza. È insistente e durevole nel tempo sia la preghiera di Mosè aiutato da Aronne e Cur, nella lotta decisiva di Giosuè con gli Amaleciti; sia la richiesta assillante della vedova al giudice ingiusto perché faccia giustizia nel suo caso.
Del resto è Gesù stesso che ci raccomanda di pregare “sempre”, “senza stancarci” (Lc 18, 1-8), e ci dà l’esempio “passando la notte in orazione” (Lc 6,1,3). Per questo, aggiunge Paolo, “la vera vedova si consacra alla preghiera giorno e notte” (1 Tim 5,5). Gesù conclude la sua parabola con una domanda all’apparenza inquietante: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. L’evangelista Luca, che riporta questa domanda di Gesù, non vuole tanto creare pessimismo, quanto esortare i cristiani a mantenersi saldi e forti nella fede, motivandola sempre più. L’entusiasmo del neofita è solitamente alto nei cominciamenti, ma, proprio perché è anche un fatto fondamentalmente emotivo, tende un po’ alla volta a raffreddarsi.
Occorre quindi far diventare la preghiera una vera abitudine dello spirito, così come gli asceti ci hanno insegnato vivendo costantemente alla presenza di Dio, desiderandolo appassionatamente (è il senso del pregare sempre secondo Agostino), invocandolo con le giaculatorie (da jaculum) che sono rapidi strali di amore, ritornando alla contemplazione silenziosa dinanzi all’eucarestia, per auspicare al termine del nostro periplo l’incontro faccia a faccia con il Signore. Occorre anche tornare alla preghiera in famiglia, e cioè ad una prassi che in passato era normale, con la recita quotidiana del rosario, o ad altre forme possibili di preghiera lodevolmente sperimentate (lodi e vespri in famiglia, Parola di Dio partecipata da genitori e figli…). La famiglia infatti è “Chiesa domestica” (LG 11), della quale sono ministri, in virtù del sacramento del matrimonio, proprio i genitori, che celebrano quotidianamente con i figli il loro rationabile obsequium o culto spirituale (Rom 12,1).