È’ la domenica della preghiera, uno dei grandi insegnamenti di Gesù, sollecitato peraltro degli stessi apostoli: “Insegnaci a pregare!”. Innanzitutto ci colpisce l’insistenza con la quale Gesù ci esorta a pregare: “sempre”, “in ogni momento”, “incessantemente”, per cantare con tutto il cuore le lodi dell’Altissimo, quasi con una sorta di movimento diastolico per lodare, benedire, ringraziare Dio, e di movimento sistolico per chiedere, cercare, bussare come bisognosi che nulla hanno e tutto sperano dalla Sua misericordia. Anche la nota “preghiera del pellegrino russo” si sviluppa su questo orizzonte. Il comportamento di Maria, sorella di Lazzaro, fu pur esso di questa natura, e il Signore lo qualificò come “la parte migliore che non le sarà tolta” (Lc 10,42).
Si tratta dell’ascolto profondo e interiore di Dio che è proprio d’ogni preghiera, perché solo con questa apertura al mistero di Dio che ci pervade si può vivere nel mondo e nelle cose senza esserne assorbiti e dispersi.
E per darci un esempio di come si può pregare ci dà una traccia di dei temi qualificanti d’ogni preghiera cristiana: è il Padre nostro o preghiera del Signore (oratio dominica), che la Chiesa ha sempre chiesto a tutti di ripetere tre volte al giorno, come si fa in quel libro di preghiera liturgica che è il “breviario”.
È la preghiera dei “graziati”, cioè di coloro ai quali, al dire di Paolo nella Lettera ai cristiani di Colosse, “è stato annullato il documento scritto del loro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli: Gesù lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla sua croce” e perdonandoci per grazia.
È la narrazione di un atto giuridico bell’e buono, che si ripete ogni volta che presentiamo il conto dei nostri debiti. Dio straccia il conto, azzerandolo con il suo perdono ad efficacia immediata e senza più ricordarlo. Fa tenerezza il racconto della Genesi in cui Abramo compete con Dio per azzerare il conto negativissimo di Sodoma e Gomorra, due città globalmente perdute per la congerie di peccati che hanno saputo accumulare vivendo sciaguratamente. Abramo cerca dapprima di commuovere Dio: “Qualche persona giusta ci sarà pure tra tanti empi. Vuoi proprio sterminarli tutti insieme, peccatori e giusti? Non sarebbe proprio una giustizia retributiva…”. Dio acconsente a non condannarli tutti in virtù dei buoni, che Abramo calcola in cinquanta. Ma qui comincia la ritirata strategica di Abramo, che, volendo essere realista, passa da cinquanta persone giuste a 45, poi a 40, poi a 30, poi a 20, poi a 10. Ma non si trovarono nemmeno i pochi dieci: e Dio fece piovere “zolfo e fuoco” su quelle città corrotte (Gen 19,24).
L’intercessione dell’uomo non bastò, occorreva l’intercessione dell’Uomo-Dio: e fu Gesù, Figlio di Dio, Figlio dell’uomo. Per lui, ucciso per noi su una croce, quella liberazione è possibile e gratuita; e tutti riceviamo grazia su grazia. Da allora in poi la speranza s’è affacciata come nuovo sole all’orizzonte e ci chiede di non disperare mai.
La preghiera è lo strumento facile e immediato per attingere perdono alla fonte della misericordia. Il costato squarciato di Cristo crocifisso sta lì a ricordarcelo e a suggerire la preghiera che egli ha messo sulle nostre labbra: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male e dal Maligno” (Mt 6,12-13).
Ma non è facile avvertire il male e la sua gravità, particolarmente oggi, tempo di soggettivismo, relativismo, libertà libertaria: una triade che non tollera di fatto né ammonizioni né razionalità né memoria, con tutte le conseguenze morali e comportamentali che ne conseguono.
È proprio questo graduale sfaldamento del senso del peccato e del limite che ha bisogno del richiamo a “valori altri”, che sono quelli religiosi spirituali e razionali insieme, e a “forze altre”, quelle dell’aiuto di Dio e dell’invocazione, per contrastare il male e vincere la battaglia dell’onestà.
Tali forze sono quelle della grazia, da impetrare continuamente da chi solo può darcela, cioè Colui che nel combattimento contro il Maligno ha vinto per sempre il peccato e la morte, conseguenza del peccato.