L’ Anno della fede farà riflettere sul grande dono del Concilio Vaticano II; così da dare “rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto – in cui spesso si trovano – verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza”, dice Benedetto XVI nella lettera apostolica Porta fidei. Un’ulteriore lettura viene poi suggerita dalla data: 11 ottobre 2012. Cinquantesimo dell’inizio del Concilio, ventesimo della promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Quanti echi, incluso l’Anno della fede che Paolo VI volle celebrare a due anni dalla conclusione del Vaticano II. Montini viveva la preoccupazione del suo tempo, di quel turbolento post-Concilio con le sue sperimentazioni liturgiche e con l’elaborazione di quel Catechismo della Chiesa olandese che l’anno prima, 1996, aveva visto la luce. Paolo VI chiese alla Commissione di esaminare il testo olandese, e la risposta fu che si voleva sostituire “una ortodossia moderna ad una ortodossia tradizionale”.
Così Paolo VI, che aveva partecipato, guidato e concluso il Vaticano II, convocò l’Anno della fede per dire che, se il Concilio “non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine”.
E ricordava alcuni documenti conciliari come la Lumen gentium, nella quale emerge “la necessità congiunta della Chiesa insegnante e della fede”; o il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, dove si evidenzia la “purezza della fede, asserita proprio in funzione del dialogo ecumenico”; o ancora la dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, che ribadisce “l’incontro della fede e della ragione in un’unica verità”.
Un’occasione, l’Anno della fede per Papa Montini, per “rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa”.
Chiara la preoccupazione del Papa che coglieva nelle “fughe in avanti”, come appunto quella del Catechismo olandese, un rischio per l’attuazione stessa delle indicazioni uscite dal Concilio ecumenico. Se vogliamo, è la stessa attenzione di Paolo VI a guidare la scelta di Benedetto XVI – anche lui ha partecipato al Vaticano II – nell’indire l’Anno, e cioè indicare con il Concilio l’“essenziale importanza” attribuita alla fede. Non si tratta di cercare una nuova ideologia ma semplicemente d’indicare nell’incontro con Dio la luce che guida i nostri passi. In Gesù Cristo, scrive Benedetto XVI, “trova compimento ogni travaglio e anelito del cuore umano.
La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte”. Benedetto XVI invita poi a compiere un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo “i contenuti della fede”, affidandosi “totalmente a Dio, in piena libertà”. Paolo VI concluse l’Anno della fede pronunciando, il 30 giugno 1968, il Credo del popolo di Dio.
Ed ecco un’altra data che non va dimenticata: è l’anno della contestazione giovanile, il 1968, che inizia negli Stati Uniti e come un vento soffia in tutti i Paesi europei, anche al di là della Cortina di ferro con quella “Primavera di Praga” che nell’agosto del 1968 sarà repressa dai carri armati del Patto di Varsavia e che avrà un epilogo nel terribile gesto di Jan Palach, che si dà fuoco in piazza San Venceslao.
È l’anno del dissenso cattolico, dell’Isolotto di Firenze, dell’uccisione di Martin Luther King. La preoccupazione di Paolo VI trova eco in quell’atto d’amore per la Chiesa e per l’umanità che è il Credo del popolo di Dio, il cui testo ha ricevuto l’apporto iniziale di Jacques Maritain. È un Papa che chiede di credere nell’“intensa sollecitudine” della Chiesa per “le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli”; che chiama gli uomini a contribuire “al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi”.