Nel brano evangelico di domenica scorsa Gesù si presentò ai suoi compaesani con un biglietto da visita a dir poco sconcertante, dicendo: “La persona anonima, di cui parla il profeta Isaia, sono io, proprio io; la Parola di Dio, quindi si realizza in me”. Il Vangelo di oggi è la continuazione di quello di domenica precedente e ci racconta quel che successe dopo il singolare annuncio fatto in sinagoga. Il comportamento dei nazaretani fu prima di ammirazione, poi di una ostilità incredibile: “Ma chi si crede di essere? È solo il figlio di Giuseppe!”e cercarono addirittura di buttarlo in un precipizio, “ma Gesù, passando in mezzo a loro se ne andò”. È l’inizio di quel comportamento contraddittorio che animerà le genti della Palestina per tutto il lungo viaggio di Gesù: ammirazione dei poveri e della folla, ostilità e ambiguità degli uomini di potere che lo condannarono a morte infame. Così andò, già all’inizio, la vicenda umana di Gesù, tra sorpresa e indignazione, come ce l’ha raccontata uno storico attento e minuzioso quale il medico Luca, colui che, dopo aver fatto “attente ricerche”, scrisse un resoconto fedele dei fatti
. Vangeli, quindi, come storia consapevole e ben meditata di una vicenda umana e d’un protagonista singolarissimo quale fu Gesù. Ma il Vangelo è anche il racconto trasparentissimo di quello che Dio fa per noi e di come nella nostra libertà ci segue e ci valuta. Non è un “Signore” disattento alle nostre vicende, ma un Padre che ci ama fino all’inverosimile. Nella prima lettura si ricorda la vicenda del profeta Geremia, il profeta più tormentato ma anche più aperto alla speranza, che dimostra come su ognuno di noi, “prima ancora di formarsi nel seno materno”, c’è un progetto di Dio che precede i nostri umani pensamenti: il progetto di essere “profeti delle nazioni”, cioè proclamatori della presenza di Dio nel mondo e nella vita di ciascuno, di un Dio che è buono e misericordioso, ma anche giusto con chi Lo emargina e Lo rinnega.
In ogni figlio che nasce c’è già il progetto di Dio, che deve essere portato alla luce con tutta l’opera educativa dei genitori e di onesti collaboratori fino all’età adulta. In ogni caso Dio protegge i suoi profeti: “Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno”. Questa missione evangelizzatrice è d’ogni persona, particolarmente dei battezzati che sanno le cose di Dio in maniera più intensa e sperimentale, grazie alla conoscenza diretta di Gesù, che di Dio è il Figlio, dal quale abbiamo ricevuto lo splendido segreto identitario di Dio: “Dio è amore”. È un segreto che si fa modello di vita, come ci ricorda l’apostolo Paolo nel suo splendido ed efficace Inno della carità, riproposto nella seconda lettura di oggi (1 Cor 13, 1-10). La carità cristiana è assai più della beneficenza o della filantropia. È la realtà stessa di Dio, la sua identità più profonda, come ci ripete l’apostolo Giovanni: “Dio è amore!” (1 Gv 4,8).
Questa deve essere anche la realtà del cristiano, diventato “figlio di Dio” nel battesimo. Sono molte le pagine della sacra Scrittura che ci offrono esempi e addirittura liste di comportamenti d’amore verso il prossimo, a cominciare da quella stessa di Gesù, che va sotto il nome di “opere di misericordia”, note già nell’Antico Testamento ma rivitalizzate da Gesù con il riferimento agli “ultimi”, ai “fratelli più piccoli” (Mt 25). Altra celebre lista è appunto quella di Paolo nella lettera alla comunità cristiana di Corinto (1 Cor 13,1-11), tentata da “scismi interni”, nota come l’Inno alla carità. Un esercizio non inutile di verifica del nostro comportamento nei riguardi della carità sarebbe quello di leggere ogni stico in prima persona singolare (Io dò da mangiare a chi ha fame…).
Forse ci renderemmo meglio conto di quanto sia lacunosa e povera la nostra “carità”, e come ci sia bisogno di conversioni radicali. È quello che propongo di fare ripetendo, a voce alta, lentamente, il brano di Prima Corinzi 13,4-7: “Io sono magnanimo. Io sono benevolo. Io non sono invidioso. Io non mi vanto. Io non mi gonfio d’orgoglio. Io non manco di rispetto. Io non cerco il mio interesse. Io non mi adiro. Io non tengo conto dell’ingiustizia. Io mi rallegro della verità. Io tutto scuso. Io tutto credo. Io tutto spero. Io tutto sopporto”. Se siamo riusciti a dire queste caratteristiche della carità senza fremere intimamente per la contraddizione tra il nostro dire e il nostro fare, allora vuol dire che siamo sulla buona strada…