In prossimità della conclusione dell’anno liturgico (siamo alla penultima domenica) la Chiesa ci invita a spingere lo sguardo agli eventi della fine della storia, sia quella personale, sia quella del mondo. E lo fa riproponendoci il discorso escatologico, appunto il discorso sulle cose ultime, tenuto da Gesù a Gerusalemme pochi giorni prima della Pasqua. Il linguaggio che ascoltiamo non è usuale per noi, ma era di facile comprensione per i contemporanei di Gesù, educati dei profeti alle immagini forti che egli usa. Lo spunto è dato dalla predizione della Guerra giudaica, che porterà alla distruzione di Gerusalemme e che Gesù annuncia come un’immensa “tribolazione quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione fino ad ora, e mai più vi sarà”. Gesù aveva concluso il suo annuncio dicendo: “Fate attenzione! Io vi ho predetto tutto” (Mc 13,14-23).
Un intero popolo fu coinvolto e straziato orribilmente da quella immane tragedia. Ne abbiamo la cruda descrizione nell’opera storica di Giuseppe Flavio che la visse in prima persona. Per gli ebrei, come Gesù e i suoi ascoltatori, quella terribile sventura era l’inizio e l’immagine della fine del mondo. In quella occasione i cristiani, ammoniti da Gesù, fuggirono nella città di Pella, “sui monti” a oriente del Giordano. Senza soluzione di continuità, Gesù passa alla presentazione degli eventi ultimi della storia umana, che precedono e accompagnano la sua seconda venuta. I profeti annunciavano “il giorno del Signore”, cioè il suo intervento salvifico a favore del suo popolo, con immagini a dimensione cosmica. Il Dio che ha creato il mondo non teme di mettere a soqquadro la sua creazione per salvare l’uomo, che vale più di tutte le altre creature del cielo e della terra.
Questo intendevano dire i profeti Isaia (13,10; 34,4), Gioele (2,10s), Sofonia (1,15), che inventarono le immagini che Gesù ha preso in prestito da loro. Il Creatore ha mezzi e potere per cambiare il corso delle cose del mondo quando decide di intervenire. Più che della fine del mondo, Gesù parla di se stesso come Figlio dell’uomo che verrà sulle nubi del cielo a giudicare il mondo artificiale, ingiusto e disumano che gli uomini hanno costruito con le loro mani. Lo aveva predetto già il profeta Daniele, che Gesù cita: “Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno; il suo potere è un potere eterno che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,13s).
Di suo, Gesù aggiunge che “manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” per stabilire con loro il regno eterno di Dio sul mondo. Più che la fine del mondo, viene qui descritto il fine del mondo, la sua meta finale, il suo approdo definitivo progettati e voluti da Dio. La pagina del vangelo iniziata oggi, con un linguaggio all’apparenza minaccioso e con la descrizione simbolica di fenomeni cosmici paurosi, si trasforma così in una promessa: il mondo non sarà distrutto, ma cambiato dalla potenza salvifica di Cristo che, alla fine dei tempi fissati da Dio, renderà completa la sua opera di salvezza iniziata con l’Incarnazione. Apparirà allora un popolo nuovo di risorti, amati ed eletti da Dio, una società armoniosa fondata sull’amore e sulla gioia. Nella raccolta finale, gli angeli mietitori riporranno la messe nel granaio di Dio, separandola dalla zizzania (Mt 13,30.43).
Tutto indica che sarà un raccolto abbonante. Oggi Gesù afferma che tutto questo non è lontano da noi. Il tempo finale è stato inaugurato da lui con l’annuncio della vicinanza del Regno (1,15). Ora lo richiama con l’immagine popolare della pianta del fico che in autunno entra in letargo e perde le foglie ad annunciare l’inverno vicino, ma in primavera gonfia le sue gemme e i suoi piccoli frutti ad annunciare che l’estate è alle porte. Quell’albero è l’orologio che segna il cambiamento di stagione, che però già porta dentro di sé. Così è il tempo di Gesù e della Chiesa, un tempo turgido di vita che esploderà nella bella stagione finale. In Oriente la primavera è molto breve e lascia poco tempo per l’attesa dell’estate. Gesù ci avverte che l’irruzione del regno definitivo di Dio è sempre vicina, anzi è già dentro la nostra storia, addirittura dentro di noi.
È necessario saper riconoscere i segni dei tempi, specie negli eventi tragici che periodicamente si verificano e che sono come le doglie del parto in prossimità della nascita di una nuova vita. Il tempo della fine è già nei tempi difficili e minacciosi che viviamo, nella nostra esistenza precaria di emigranti in cerca di una patria stabile dove vivere sempre. Gesù ha appena descritto la terribile fine di Gerusalemme e della nazione giudaica. Era per lui uno di quei segni che indicano il mutare rapido della storia, la provvisorietà di tutte le cose, la corsa del mondo verso la meta finale. Avvertiva i suoi contemporanei che le sue previsioni sulla fine della Città santa si sarebbero verificate nello spazio della loro generazione: “Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”. E puntualmente le cose accaddero nello spazio di quaranta anni, nell’anno 70.
Quando diceva questo, Gesù non era un catastrofista, non sognava la fine di tutte le cose in una grande conflagrazione cosmica. Avvertiva realisticamente che niente nel mondo è stabile e duraturo, tutto cammina rapidamente verso il compimento, non verso la fine. Allora intendeva scardinare le false certezze di chi credeva Gerusalemme una città eterna, garantita impunemente da Dio anche nelle sue malefatte, ma intendeva anche smantellare le false certezze di chi si crede immortale e pensa di vivere sempre giovane e di poter godere la vita senza limiti e senza regole morali. Avvertiva tutti noi a non attaccarci alle cose fugaci di questo mondo; ne rimarremmo delusi e ci ritroveremmo alla fine con un pugno di mosche in mano. Intendeva svegliarci dal sonno della nostra incoscienza, farci uscire dalla banalità del nostro vivere quotidiano insignificante e frivolo, e porci le grandi domande dell’esistenza: chi sono? Perché vivo? Dove vado? Come devo utilizzare la mia vita e i miei beni? Che cosa vuole Dio da me? In una parola, vuole trasferire la nostra attenzione dalle cose penultime alle cose ultime della vita. Solo queste infatti danno senso vero all’esistenza.