La vita pubblica di Gesù è un continuo alternarsi di bagni di folla e di fughe in luoghi deserti per recuperare energie interiori da spendere poi a contatto della gente. Il breve vangelo che oggi ascoltiamo ci presenta proprio una di queste scene altalenanti. Di ritorno dalla loro missione nei villaggi della Galilea, gli apostoli sono invitati da Gesù ad un ritiro con lui in un luogo solitario, lontani dalle folle. Dopo giorni di attività assillante hanno bisogno di silenzio per rientrare in se stessi e ricaricarsi. Siamo entrati nel periodo delle ferie estive, quando si cerca la fuga dalle città verso luoghi di riposo e di distensione in montagna o al mare.
È un periodo prezioso da dedicare a noi stessi, da vivere nel silenzio e nella pace, storditi come siamo dal chiasso della nostra società frenetica e rumorosa, dall’assillo del lavoro quotidiano e dai numerosi problemi personali e familiari. Tutti hanno diritto ad un sano riposo, ad una pausa di stacco dal lavoro, alla ricerca di serenità interiore che rimetta ordine dentro ciascuno. È un peccato sciupare questo periodo prezioso trasferendo al mare o in montagna la frenesia e il chiasso che ci stordisce e ci logora in città. C’è chi non è capace di sopportare la solitudine e il silenzio prolungato, perché il frastuono della società lo ha stordito e viziato. Per lui il silenzio è un vuoto che uccide. Ha bisogno di una forte dose di decibel quotidiani per sopravvivere, e vi provvede con musiche assordanti, con cuffie o telefonino attaccati perennemente all’orecchio. C’è da domandarsi se anche noi siamo vittime di questa influenza malefica.
Abbiamo bisogno come Gesù e gli apostoli di riscoprire la ricchezza del silenzio che spesso ci manca nella vita ordinaria. Non solo fa bene alla salute, ma ci rende più disponibili all’ascolto di chi ci vive accanto. Dobbiamo imparare a fare del silenzio la nostra dimora frequente, lo spazio per ritrovare noi stessi e il nostro autentico rapporto con Dio. Ci accorgiamo allora che stiamo sempre fuori casa, anche quando viviamo in famiglia, perché siamo presi dalle frivolezze, dal chiacchiericcio, dalla televisione ingombrante, dalla musica rock assordante, dall’immaginazione fantasiosa, dai sentimenti turbolenti, dalle preoccupazioni assillanti. Il silenzio non è semplice mancanza di rumori, ma è spazio spirituale in cui incontriamo noi stessi e Dio, è ascolto della Parola che parla all’orecchio del cuore. Il Salmo 65 inizia dicendo: “Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion”.
La prima lode di Dio è il silenzio di contemplazione e di ammirazione. Dovremmo liberaci dalla schiavitù dell’orologio e saper trovare il tempo di leggere con calma la Parola di Dio nel Vangelo o un buon libro, il tempo di contemplare un bosco, un fiore, un filo d’erba, un bambino che gioca, un animale al pascolo, un cielo stellato, un’aurora che sorge dai monti. Il silenzio e la solitudine educano alla contemplazione di quel creato che per lo più è nascosto dalla luci, dai rumori, dal cemento della nostre città; creano il gusto di ammirare un’opera d’arte, di ascoltare l’armonia che avvolge il mondo e che i nostri grandi maestri musicisti hanno saputo captare e tradurre in suoni pacificanti. Nel silenzio impariamo a guardare con gratuità le cose più belle, che sono appunto un dono gratuito del Signore. La pagina del vangelo di oggi è un invito a riscoprire il valore di questo silenzio. Gesù è solo con i suoi discepoli in una piccola insenatura appartata che si affaccia sul lago di Galilea. Si sono appartati in quel luogo solitario per comunicarsi le esperienze della prima uscita missionaria.
Ognuno racconta quello che ha fatto e visto, i miracoli fioriti all’annuncio del regno di Dio, la reazione della gente invitata a conversione. Gesù, che li ha costretti a riposarsi dalle loro fatiche e dalle loro emozioni in un clima di grande intimità, li ascolta con interesse e amore. Ma l’incanto dura poco perché una fiumana di gente li cerca e li trova. Ripiombano di nuovo nella confusione e nella ressa di ogni giorno: “Erano molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”. Gesù capisce il loro disagio e li invita amorevolmente a sfuggire a quella morsa inesorabile: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'”. L’unica via di fuga è il lago. Salgono in barca e si allontanano dalla riva sulla distesa silenziosa dell’acqua. Almeno al largo nessuno li segue, possono farsi cullare dalle onde in pace. Questa esigenza di riposo e di solitudine è sottolineata dal testo per ben due volte con la prospettiva di un “luogo deserto, in disparte”. Gesù c’è abituato perché spesso ha lasciato tutti e si è ritirato tutto solo in un luogo in disparte, inaugurando lo stile di alternare la preghiera all’azione (Mc 1,35).
Così la sua vita diviene più utile agli altri perché ricca di Dio. Dopo qualche tempo, la barca si dirige verso un approdo. La gente intuisce la traiettoria e arriva via terra con anticipo al luogo dello sbarco. “Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro perché erano come pecore senza pastore”. La solitudine orante rende più sensibili ai bisogni e alle sofferenze umani, rende più capaci di ascolto, perché fa sperimentare i limiti della propria umanità e la tenerezza di Dio. Gesù, tornando tra gli uomini, non diventa meno uomo, ma appare più uomo. Si commuove profondamente per quella gente disorientata in cerca di sicurezze e di conforto, che assomiglia ad un gregge senza pastore. Egli è per loro un punto di riferimento autorevole e sicuro, disinteressato e umanamente ricco.
È spontaneo il confronto con i capi religiosi del tempo (scribi e farisei), che il profeta Geremia rimproverava a nome di Dio nella prima lettura: “Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve siete preoccupati” (23, 2). Gli fa eco un altro profeta contemporaneo, Ezechiele, il quale parla di pastori che “pascono se stessi” senza darsi cura della pecore. “Queste vanno errando su tutti monti e su ogni colle, e si disperdono”(34,2-8). Avrebbero dovuto raccogliere e istruire la gente nelle cose di Dio per dare loro sicurezze interiori. Gesù si assume ora questo compito e “si mette ad insegnare loro molte cose”. Appare già qui la figura di Buon Pastore che ha cura delle sue pecore, che conosce e che ama singolarmente (Gv 10,14). Le pause di ritiro e di silenzio aiutano ad avere familiarità con questo pastore delle nostre anime, che ci ama fino a commuoversi per noi.