Scriviamo per un pubblico che non credo legga tutti i giorni L’Unità. Quel giornale, pur essendo cambiato dal tempo della sua fondazione, avvenuta nel 1924 ad opera di Gramsci come organo del Pci fino al 1991, è rimasto sempre legato alla ideologia di fondo che lo ha ispirato. I suoi direttori, dopo Gramsci, sono stati Ingrao, Maurizio Ferrara padre di Giuliano, Pajetta, D’Alema, Veltroni, Colombo e l’attuale Padellaro, tutti di orientamento non certo coincidente con il pensiero cattolico. L’Unità, dunque, nel numero del 28 aprile, in un articolo dal titolo ‘Se l’Italia perde la carità’, se la prende con il sindaco di Assisi e con quello di Firenze per l’ordinanza contro l’accattonaggio e con il cardinale di Napoli che ha plaudito alle Forze dell’ordine per aver sgomberato la chiesa occupata dai senzatetto. L’autore dell’articolo, inoltre, fa un sorprendente elogio della carità, con parole di san Paolo, e si lamenta che qualcuno arrivi a impedire la carità cristiana. Noi sapevamo che la carità fosse mal vista da marxisti e comunisti che ragionano in termini di pura giustizia sociale da realizzare senza paternalismi e cedimenti, con la ferrea logica della lotta di classe. Ora dobbiamo rendere atto che i tempi sono cambiati e riandare alla famosa espressione di Giovanni XXIII che affermava nella Pacem in terris, cito a memoria: ‘Le dottrine rimangono sempre le stesse, ma gli uomini cambiano’. Alcuni amici che scrivono talvolta al nostro giornale in realtà ritengono che molti di questi uomini che leggono L’Unità non siano cambiati per niente. Se è così l’autore dell’articolo de L’unità sarebbe una mosca bianca. Ma lasciando da parte questi discorsi, pur interessanti, si deve riflettere sul fatto nuovo della nostra società nella quale è divenuto molto difficile fare la carità. La Chiesa in tante forme diverse, e non solo attraverso quella grandiosa macchina che è la Caritas con le articolazioni – che molti non conoscono – del livello parrocchiale, diocesano, regionale, nazionale e internazionale, opera costantemente a favore dei poveri. Ma si deve confessare che in quest’opera si incontrano sempre maggiori difficoltà, anzitutto per l’equivoco nell’identificazione del povero. Un tempo vedevo, a stagioni alternate, un vecchio cieco seduto sulle scalette di Sant’Ercolano a Perugia che suonava una fisarmonica e molti passanti che si chinavano a deporre la loro moneta. In questi tempi, ad ogni svolta della via trovi qualcuno che ti chiede e interpella. Il buon cristiano sa che se uno stende la mano, per questo stesso gesto, merita di essere trattato con condiscendenza e rispetto. Si è diffusa però anche l’idea che dare soldi per strada non sia una cosa giusta perché vi sono dei tossicodipendenti che con quei soldi si fanno del male ed altri lo fanno per mestiere, o per costrizione, oppure cercano di scipparti. È divenuto difficile anche aiutare fornendo un piccolo lavoretto o un alloggio, a causa della burocrazia che blocca iniziative del genere. Al fondo di tutto poi c’è il diffuso senso di insicurezza, per vincere il quale dovrebbero servire i provvedimenti dei sindaci. Questi non devono e non potranno, comunque, spegnere lo slancio della carità, che è parte della nostra tradizione religiosa e culturale, ed appartiene alla coscienza profonda di ognuno, anche di chi non professa un’esplicita fede religiosa. I cristiani sapranno superare queste difficoltà, e potranno così rassicurare i lettori de L’Unità.
La crisi della carità
AUTORE:
Elio Bromuri