Oppio dei popoli o seme di violenza?

Circolano ancora oggi libri e articoli sulla religione che passano da uno stereotipo a quello opposto. Si trova ancora l’accusa che è l’oppio dei popoli e i cristiani, soprattutto i cattolici, sono dei cretini, oppure all’opposto che la religione è fomentatrice di violenza per colpa soprattutto dei cosiddetti kamikatze e delle guerre sante. Le due opposte opinioni possono benissimo alloggiare nel cervello di una stessa persona, che normalmente si ritiene dotata di intelligenza superiore, perché magari sa usare i computer per sofisticati calcoli matematici e di essere al di sopra delle masse dei fedeli considerate preda di superstizione ed ignoranza. Alcuni di loro si ritengono anche di un livello di moralità superiore puramente razionale, che consente loro di non avere scrupoli su nessuna delle questioni di bioetica. Non entriamo in tutte le problematiche che questi stereotipi comportano e innescano e che La Voce nella continuità del suo flusso informativo settimanale affronta di volta in volta e ci limitiamo a segnalare la protesta dei monaci buddisti della Birmania dei questi scorsi. Questi religiosi, soprattutto giovani, con il manto rosso appoggiato ad una spalla, che sotto la pioggia battente, scalzi, hanno sfilato e sfidato il Governo militare di ispirazione comunista seguiti da una folla di giovani che reclamano la diminuzione del costo della vita, democrazia e libertà, come valutarli? Rappresentano l’oppio o il seme della violenza? Chi vuol rispondere? Anche in Europa e in Italia, è aperta la questione del rapporto tra religione e società, religione e politica. Un rapporto delicato che facilmente può degenerare nel sopruso di una parte o dell’altra, ma che va, prima di tutto, ritenuto necessario e inevitabile. La religione vive in una società’he ha a che fare con la vita e tutti i problemi che essa comporta. La società, d’altra parte, non può far finta che non esista una dimensione religiosa fondamentale e strutturale dell’essere umano. Anziché rifugiarsi nei pregiudizi, nella condizione multireligiosa in cui attualmente ci troviamo, è necessario ripensare i modi più convenienti di porsi in relazione tra fede e azione politica, per non cadere in forme improprie e distorte quali in passato sono state la teocrazia e l’ateismo di Stato, oggi proposto come laicità radicale. I cattolici sentono in modo acuto questo problema: lo hanno affrontato in diverse occasioni e momenti storici, uno dei quali è sorto cento anni fa con le Settimane sociali. La prossima (18-21 ottobre) avrà per tema ‘il bene comune’, proprio ciò da cui prendono senso le istituzioni civili e religiose. Nella prospettiva del cattolicesimo sociale la dimensione religiosa autentica è considerata atta a purificare e dilatare gli spazi dell’anima, e rendere la persona attenta e disponibile all’altro con atteggiamento di rispetto, compassione e amore. Credere significa progettare la propria vita sotto lo sguardo di Colui che ha creato gli esseri umani e governa l’universo, nella serena visione dell’ultimo irrangiungibile orizzonte. ‘Oppio’ e violenza oggi si possono trovare nei cattivi maestri e nel residuale pensiero materialista quale quello di un filosofo italiano che in tv alla domanda su cos’è lo ‘spirito’ ha risposto che lui lo spirito lo va a cercare in birreria.

AUTORE: Elio Bromuri