Alla notizia che la Commissione teologica internazionale ha prodotto un documento, approvato dal Papa, nel quale si dice che il tradizionale concetto di limbo riflette una ‘visione eccessivamente restrittiva della salvezza’ e che sia da ritenere un concetto superato, ha destato commenti curiosi, ironici, irridenti e persino violenti contro la Chiesa cattolica: come si è permessa di negare la salvezza piena e perfetta della felicità soprannaturale a bambini che non hanno alcuna colpa se non quella di non essere battezzati? Eppure la Commissione, composta da una trentina di membri, fin dal 2004 ha dovuto lavorare alla elaborazione delle 41 pagine del documento intitolato ‘La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati’. Sinceramente non ritenevo che la questione ottenesse la risonanza che invece ha avuto nei media fino alle ridicole ambigue analogie politiche tirate in ballo. Ciò su cui si dovrebbe comunque riflettere e che dovrebbe passare nella coscienza cattolica è il travaglio della ricerca rivolta alla conoscenza dei misteri della rivelazione cristiana e allo sforzo di tradurli in termini comprensibili per il popolo. Teologi e pastori si sono trovati stretti tra la affermazione della necessità del battesimo per la salvezza eterna (‘Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo’) e la parallela affermazione che Dio è giusto e buono, grande nell’amore verso tutti. Per tenere insieme i due principi senza portare danno a nessuno dei due hanno pensato di ricorrere alla prospettiva di una salvezza e felicità naturale. Per questa via, in contesti diversi, si è ricorso anche a introdurre il concetto di battesimo di sangue per chi sacrifica la sua vita senza essere battezzato e di battesimo di desiderio per i giusti che non hanno potuto essere battezzati semplicemente perché non ne conoscevano l’esistenza e comunque erano obbedienti alla parola di Dio nella forma in cui l’hanno conosciuta nelle diverse religioni e tradizioni culturali. In fondo ciò risponde all’invito di Pietro di ‘dare ragione della speranza’ a chi lo domanda. L’errore o l’inganno, se così si può dire, compiuto in passato e che anche oggi costituisce un rischio, è quello di dimenticare la profonda distinzione che corre tra problema e mistero. Quando siamo nella sfera del divino, del soprannaturale, di ciò che per sua intima natura oltrepassa i limiti dell’esperienza umana, deve essere considerato nella sfera del mistero e non del problema. Come osservava, tra gli altri, un filosofo del Novecento, Gabriel Marcel, il problema possiamo osservarlo nei suoi aspetti, analizzarlo e sezionarlo, scomporlo e ricomporlo in base a criteri propri delle singole discipline di studio. Non così il mistero, che sfugge a questa logica, sta oltre e ci supera infinitamente, nello stesso momento in cui ci avvolge e ci coinvolge profondamente ed emotivamente. Ciò non significa che ‘le cose di Dio’ siano inconoscibili, ma che la conoscenza rimane nei confini della fede che non risponde alle domande della curiosità, ma induce a fidarsi di Dio. Anche quando si è costretti a constatare l’incessante potere della morte sulla vita, in particolare sulla vita nascente, causata dallo scacco di leggi naturali, e dalla crudele mano dell’uomo. Un mistero che si illumina solo nella convinzione che Dio è più grande del cuore umano, anche del cuore dei teologi, e ‘vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla pienezza della verità’.
Limbo problema e mistero
AUTORE:
Elio Bromuri