Per Natale una lettrice mi ha inviato una frase di Einstein, non so dove l’abbia trovata: ‘Non esistono grandi scoperte né reale progresso finché sulla terra esiste un bambino infelice’. Aprire gli occhi sul mondo all’inizio di un anno e sentire il respiro della terra umida pensando al futuro, si avverte un senso di meraviglia che induce alla meditazione e potrebbe anche provocare l’illusione che la madre terra sia capace di proteggere tutti i suoi figli in un unico e tenero abbraccio. Ma né Einstein né alcun altra persona pensante riesce, fino in fondo, a trarsi in inganno, che non vi sia chi piange e si dispera anche se è ancora bambino. La terra non è il paradiso terrestre. E allora, che cosa voleva dire Einstein con quella provocatoria frase, che una provocatoria lettrice mi ha inviato? Probabilmente un pensiero semplice; che vi sono cose che valgono più di altre e che meritano più di altre di essere compiute. Se mettessimo pertanto al primo posto, nella graduatoria dei valori e delle priorità, la felicità di un bambino, da prendere come simbolo della felicità di uomini e donne concrete, si avrebbe la rivoluzione del modo di concepire la propria esistenza e l’impegno da privilegiare a favore della felicità generale. Non si può negare che questo è stato un ideale illuministico che è miseramente fallito. Ma qui, pur partendo da un pensiero di Einstein, possiamo definire questo progetto alla luce di quanto va affermando Benedetto XVI, facendo leva sul concetto di umanesimo integrale e di civiltà dell’amore. Un richiamo di questo genere nella società super tecnologizzata, conflittuale, piegata dal giogo dei calcoli finanziari, dove la gente spesso è sazia e disperata, suona come una voce nuova e diversa che merita di essere ascoltata. Non per nulla è stato scelto per la Settimana ecumenica di quest’anno un testo del vangelo di Marco che di Gesù dice: ‘Fa sentire i sordi e fa parlare i muti’ (Marco 7,37. Si richiede una nuova disponibilità all’ascolto, del pianto dei bambini e del grido dei poveri e un nuovo modo di parlare, vero, coraggioso e sincero. Non posso slittare su quanto avviene anche in questi giorni che i politici si parlano, ma non si comprendono e si offendono. Hanno incompreso anche il segretario della Cei Betori, che ha espresso il suo pensiero sulla libertà religiosa (vedi pag. 3) e ha detto, senza mezze misure, che prima di dire e dare libertà a tutti indiscriminatamente, lo Stato guardi bene chi c’è attorno. Sappiamo infatti tutti che l’aggettivo ‘religioso’ o l’appellativo ‘religione’ oggi si attribuiscono alle cose più strane e stravaganti, persino a gruppi che esercitano più o meno esplicitamente il culto di satana o pratiche sessuali orgiastiche. Sembra un’osservazione di buon senso. Possono esservi forme religiose o pseudo tali che cozzano apertamente contro la cultura e la civiltà propria della nostra storia. Alcuni, come il ministro Ferrero, non riescono a dare credito alle buone intenzioni di Betori che in questo frangente storico non difende solo la Chiesa cattolica, ma ogni religione che sia rispettosa dei dieci comandamenti ed abbia a cuore la vita, la dignità e la libertà della persona umana. La fede cristiana ci ritiene ‘liberati per amore’ e ci chiama ad essere ‘liberi per amare’. Il resto non è gran cosa, parola di Einstein.
“Liberi per amare”
AUTORE:
Elio Bromuri