Gli indovini e gli aruspici si stanno da tempo interrogando sulle prospettive e i numeri del governo, che ha passato nei giorni scorsi una prima fase di ‘verifica’, alla vigilia dell’iter parlamentare di una legge finanziaria di cui si parla ormai da settimane. Trasversale a maggioranza e opposizione si è però posta nuovamente una questione strutturale, quella della riservatezza e della tutela dei dati sensibili. È un tema cruciale dei diritti di cittadinanza, che sarebbe bene per un momento sottrarre alla convulsa agenda del dibattito immediatamente politico, delle scaramucce continue tra gli schieramenti. Tanto più che, come poche settimane fa era stato per i telefoni e ora per i dati fiscali, sembra che l’elenco delle ‘vittime’ copra in modo ecumenico destra e sinistra, politici e veline, calciatori e finanzieri, belli e brutti. Gli italiani sono un popolo navigato e scettico e non sembrano di per sé scaldarsi eccessivamente per episodi di voyeurismo elettronico. E forse è anche bene così, su singoli episodi che possano essere repressi e sanzionati in quanto tali. Ma la riflessione deve invece cominciare e svilupparsi in una prospettiva non a lungo ma a breve e medio termine, quella dell’incredibile e crescente massa di dati riguardanti i nostri singoli tracciati biografici, che sono ormai depositati negli archivi digitalizzati e che, in prospettiva non remota, possono tendere tranquillamente a unificarsi, cosicché dalle telefonate ai movimenti bancari, dalla salute agli spostamenti, a ogni sorta di pagamenti e investimenti, alla corrispondenza elettronica, nulla in prospettiva può sfuggire al nuovo ‘grande occhio elettronico’, che con la semplicità del linguaggio binario può digitalmente combinare, controllare e, in prospettiva, forse addirittura ridisegnare le nostre identità. Sembra ritornare l’utopia del panopticon, quell’edificio razionale – non a caso un carcere – progettato dal filosofo uti litarista Jeremy Bentham, per cui tutto si poteva vedere. Il fine era apparentemente nobile, utile e razionale, l’esito un po’ agghiacciante. Due secoli e qualche anno dopo queste utopie – che si sviluppano sulle due coste della Manica, tra il giacobinismo francese e l’utilitarismo britannico – sembrano ritornare. Con la potenza del digitale i comportamenti scorretti possono essere rintracciati e rimodulati, tutto può essere razionalmente controllato, per la prevenzione e la lotta a emergenze le più diverse. Ma chi custodisce i custodi, come ammonivano i saggi giuristi latini? Se l’enorme congerie di dati può provocare un’alluvione, rendendo molto difficile la sorveglianza, è altrettanto vero che un uso selettivo della stessa può avere gravissime e imprevedibili ripercussioni sulla qualità del tessuto della cittadinanza democratica. Su cui tutti sono chiamati a vigilare appassionatamente.
Chi custodisce i custodi?
AUTORE:
Francesco Bonini