Una parola preziosa che nei rapporti sociali non dovrebbe mai perdersi di vista. Equità, cioè etimologicamente uguaglianza, comunque giustizia, somiglianza, lotta alle eccessive distanze, ai dislivelli esagerati, alle differenze irragionevoli e sproporzionate, che feriscono pericolosamente, se non proprio mortalmente, il tessuto dei rapporti umani. Con piacere l’abbiamo riascoltata in questi ultimi tempi nelle dichiarazioni di politici, uomini di governo, economisti, sindacalisti. Una boccata di ossigeno per le nostre società sempre di più ammalate di individualismo e di ricerca del benessere a ogni costo. Un richiamo esplicito alla giustizia distributiva che deve presiedere il retto funzionamento di ogni vita associata. Un capitolo per troppo tempo ignorato perfino dalla comunità cristiana. In un suo non dimenticato documento, Paolo VI, nei lontani anni ’70, di fronte alle enormi differenze esistenti fra i popoli, le classi, le persone, indicava nell’aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione le due forme fondamentali della dignità e della libertà dell’uomo. ‘Da ogni parte – affermava – sale un’aspirazione a maggiore giustizia e si alza il desiderio di una pace meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli’. Non si trattava soltanto di discriminazioni economiche, ma anche culturali e politiche. Un ordine migliore è possibile, necessario e urgente. Un compito da tenersi particolarmente presente da coloro che vivono in regimi politici che tendono a valorizzare ed esaltare le differenze e le specificità dei singoli e delle nazioni. Un’aspirazione legittima, ma da controllarsi e verificarsi continuamente perché, nel contesto di una libertà assoluta e sfrenata, è facile, è normale, arrivare a quelle discrepanze che sono appunto la negazione dell’equità e dell’uguaglianza. La diversità va salvaguardata, ma senza le esagerazioni a cui essa può arrivare e di fatto arriva nelle nostre società. Anche i Paesi ricchi soffrono di questa malattia. La tassazione è il mezzo principale per ricondurre le cose in termini apprezzabili. I politologi seri nel pagamento delle tasse indicano un dovere morale che ciascuno deve coscienziosamente osservare. Un obbligo di coscienza che fa proprio, con le sue proprie categorie, anche la morale cattolica. Evadere le tasse è un furto vero e proprio. Certo, la tassazione dev’essere giusta ed è anche doveroso lottare perché questo accada, ma non ci si può dispensare da soli da un impegno sociale così stringente. Per essere giusta, la tassazione deve soprattutto essere diretta, dal momento che le tasse indirette pesano in ugual misura sui ricchi e sui poveri, mettendo ancora in questione il principio dell’equità. La politica fiscale è uno dei compiti fondamentali e più delicati dello Stato. Fallire in essa significa mancare al dovere di quella giustizia distributiva, che rimane forse uno dei suoi impegni principali. Un politico che parla e agisce diversamente non ha diritto di essere ascoltato e seguito. Almeno da coloro che hanno a cuore i problemi della giustizia e dell’equità e che non vogliono abdicare ai propri doveri di coscienza in nome del tornaconto e dei propri calcoli egoistici.
Equità prima di tutto
AUTORE:
Giordano Frosini