Islam, la porta del dialogo

Abdul Rahman è ormai in Italia, dove ha chiesto asilo politico. Ha rischiato la condanna a morte per la sua conversione al cristianesimo. Il caso ha messo in luce la mancanza di libertà religiosa in Afganistan e in molti altri Paesi, come ha ricordato Benedetto XVI nella giornata dei martiri cristiani il 24 marzo. Questa brutta storia ha fatto ampiamente discutere, ma oltre alle proteste non si vede quale possa essere la strada per una affermazione della libertà religiosa in molti Paesi che non tengono in alcun conto i diritti dell’uomo e men che meno il diritto alla libertà religiosa. Diverse sono le motivazioni, talvolta opposte, come ad esempio quelle addotte dalla Cina e quelle dell’Arabia Saudita: la prima in ragione dell’ateismo e del nazionalismo, la seconda in nome della fede e del rispetto della sacralità della terra. Sono motivazioni dettate dalla paura di mondi chiusi, che temono di perdere la loro coesione e identità e non vogliono correre il rischio del cambiamento. Molti giornalisti e politici nostrani hanno una considerazione del tutto inadeguata e superficiale della questione. Non avvertono, per esempio, la profondità e durezza delle motivazioni addotte dalla teologia musulmana a condanna della apostasia. Essi non considerano il lento e doloroso cammino storico che il principio della tolleranza e della libertà di coscienza ha dovuto percorrere per affermarsi, anche in Europa, sia nei Paesi cattolici che in quelli protestanti. L’Islam significa sottomissione, pone l’accento sui doveri rispetto ai diritti, sulla legge rispetto alla libertà dei singoli e dei gruppi sociali. Si afferma in un testo coranico che ‘non vi è costrizione nella fede’, ma di fatto ciò vale solo nel senso che si è liberi di divenire musulmano. L’Islam, è stato detto, ha una sola porta, quella d’ingresso, non quella di uscita. D’altra parte sarebbe un non senso, per una mentalità di fede musulmana, rinnegare Dio, uscire dalla comunità più bella che esista, la Umma, la comunità dei credenti (Dar el Islàm), per andare a far parte del campo avverso, nella terra della guerra (Dar el Harb), abitata da infedeli e miscredenti che offendono Dio e il profeta (vignette). Nel libro sacro dell’Islam vi sono versetti che possono aprire ad un tipo diverso di relazioni tra credenti di diversa fede. Ma il concetto di fondo, per secoli ribadito per fede, è che tutti gli uomini sono destinati a quella religione unica e universale, al di fuori della quale non c’è salvezza né pace. L’islamizzazione del mondo è un compito affidato a ogni musulmano. Per aprire questi popoli alla libertà non si vede altro che la ‘via laica’ dei diritti umani, che passa attraverso la riforma dei codici, i trattati, le convenzioni, negoziati, controlli, tribunali internazionali e tutto quel bagaglio di strumenti non violenti propri della politica e dell’economia, mettendo sul piatto degli accordi, libertà e benessere dei cittadini, e non solo petrolio e profitto. Ma la via vera, anche se più lunga, è quella del dialogo tra i credenti delle varie religioni, la conversione del cuore, l’educazione dei popoli, la purificazione delle memorie, l’emarginazione delle correnti fanatiche e radicali. E questo è il programma proposto dalla Chiesa cattolica, di cui fu infaticabile protagonista Giovanni Paolo II, ribadito da Benedetto XVI. Ai cardinali in Concistoro ha detto ‘conto su di voi’. Può essere considerato un appello rivolto a tutti, cattolici per primi.

AUTORE: Elio Bromuri