Un caro amico frate francescano giovane studioso di Bibbia ci ha fatto sapere che il giorno della festa di san Francesco è scoccata contemporaneamente alla festa del Capodanno ebraico e l’inizio del Ramadan che interessa un miliardo di musulmani. Ci ha voluto ricordare che in modi diversi i fedeli di queste tre grandi tradizioni multisecolari hanno dei contatti tra loro che li inducono a ripensare la loro vita e a correggere i loro comportamenti. Il nostro frate amico ci ricorda anche che dopo dieci giorni gli ebrei celebrano la festa del Kippur, alla quale si preparano con il digiuno e la preghiera. Gesù durante la sua vita terrena ha celebrato queste feste che sono continuate nella Chiesa primitiva per molti anni. Un elemento che ormai è entrato in tali celebrazioni, con accenti più o meno evidenti, è la richiesta e offerta di pace, a cominciare dalla pace con Dio che è la sorgente della pace tra gli uomini. Non sarà forse inutile ricordare che oltre questi aspetti positivi, gli uomini di diversa religione e cultura sono accomunati da situazioni di disagio e sofferenza che portano nelle loro espressioni religiose, preghiere, sacrifici e manifestazioni liturgiche. Ha provocato una grande emozione il fatto di una donna anziana che è andata a morire in una chiesa davanti all’immagine della Madonna, quasi a trovare conforto nel poter dire, da donna a donna, le sue ragioni e dare giustificazioni del suo abbandono della vita. Nel contatto che si ha tra credenti anche di diversa fede, si trova un coinvolgimento, più di quanto immaginato, nei problemi della povertà e del malessere. Le religioni raccolgono i lamenti dei poveri di cui sono piene le Scritture, soprattutto quelle che abbiamo in comune con il popolo d’Israele, ed esprimono il valore della giustizia come fondamento della pace. C’è diffusa indignazione in giro perché nel tanto parlare di politica ai vari livelli non si affronta il problema emergente in questo tempo di insicurezza e precarietà nel marasma del mercato mondiale, che è quello della povertà, della emarginazione e quindi della giustizia sociale. Tutti vi girano intorno senza convinzione e senza sforzi congiunti anche di forze politiche opposte per raggiungere risultati concreti. Sperare che ciò avvenga è scivolare nell’utopia, cioè in nessun luogo? Forse, ma è necessario rincorrere anche l’utopia. In questi giorni di sinodo sull’Eucaristia viene offerta una chiave di lettura nella prospettiva evangelica del superamento delle ingiustizie e malversazioni verso i poveri. Viene proposta una soluzione di superamento della giustizia come semplice norma o virtù morale umana nella prospettiva del sacramento eucaristico. Il vescovo teologo Bruno Forte al Sinodo ha ricordato, a questo proposito, che con la stessa parola ‘Corpo di Cristo’, nella letteratura cristiana antica si indicavano tre cose: il corpo fisico di Cristo, il corpo eucaristico, cioè il pane consacrato, e il corpo che è la Chiesa, il popolo di Dio. Per la fede cristiana i tre significati non si possono separare e perciò la giustizia si compie con l’amore per il corpo cui si appartiene, che diviene perciò un’esigenza vitale: prendere coscienza di essere una cosa sola, un unico ‘corpo’ nel quale non ci può essere discriminazione o emarginazione, perché se un membro soffre tutto il corpo soffre e se si ammala tutti rischiano di ammalarsi e morire. Questa è la rivoluzione cristiana di cui il mondo ha bisogno. Incominciano a capirlo anche degli ‘atei’ che per questo vengono chiamati ‘devoti’.
Da donna a donna
AUTORE:
Elio Bromuri