Più che il Vangelo, sembra quasi di leggere la prima pagina di un quotidiano: Gesù è interpellato per commentare due fatti simili a quelli della nostra cronaca. E la reazione della gente di allora è la stessa che ai nostri giorni: terremoti, violenze, incidenti, sollevavano nei cuori sempre gli stessi interrogativi: “Ma Dio dov’è? Perché permette questo?”. La risposta di Gesù non intende però offrire una facile soluzione al mistero della sofferenza, soprattutto dell’innocente. Non sarà con le parole, ma con la sua passione, morte e risurrezione, che Gesù dirà al mondo che il dolore non ha una spiegazione, ma finirà, e da maledizione può trasformarsi in strumento di salvezza. Egli poi rifiuta con decisione l’interpretazione del castigo divino per i peccati commessi: “Credete che quei galilei fossero più peccatori tutti? No, io vi dico…”.
Dietro a questa mentalità, abbastanza diffusa, c’è l’errata convinzione che esistano tre categorie di persone: i Peccatori (con la P maiuscola), le persone che fanno “peccatucci”, e i grandi santi che non commettono peccati. Non è affatto vero! Anzi, la Parola di Dio afferma che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente” (Rm 3,23). Il peccato abita in noi (cfr. Rm 7,17) e riguarda tutti, nessuno escluso. Anche il cristiano modello, pieno di zelo per il Signore, onesto, fedele ai doveri, sollecito verso il prossimo, non è migliore di tanti peccatori! Davanti alla santità di Dio siamo tutti senza meriti, come il ladro crocifisso accanto a Gesù che entra in paradiso solo per grazia di Dio.
Papa Francesco, lo scorso luglio, si è presentato ai carcerati di Santa Cruz (Palmasola, Bolivia) dicendo: “Chi c’è davanti a voi? (parlando di sé)… quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato salvato dai suoi molti peccati”. E pochi giorni fa, ai reclusi di Ciudad Juárez (Messico) ha detto: “La misericordia entra sempre nel male, per trasformarlo”. Il Maestro invita a cogliere, nei due eventi a lui riportati, un motivo per convertirsi: un’improvvisa disgrazia, se da un lato addolora – e questo è naturale – deve far riflettere sulla precarietà della vita e spingere a dare una svolta al proprio modo di vivere. Chi non si decide per la conversione è a rischio, inaridirà come un albero nella steppa. L’uomo che cerca Dio è invece un albero piantato lungo un corso d’acqua, sempre verde e pieno di frutti, anche se viene la siccità (cfr. Ger 17,8).
La risposta apparentemente dura di Gesù non serve a spargere il terrore, ma a far capire che siamo tutti grandi peccatori bisognosi di misericordia, scalzi come Mosè di fronte alla santità di Dio (prima lettura). Una santità che tuttavia non ci vuole schiacciare ma rinnovare, liberare, perché il roveto ardente è anche segno di una Misericordia che mai si consuma. Il monito di Gesù nasce dall’amore: infatti Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr. Ez 33,11). E per spiegarlo meglio, Gesù narra la parabola del fico sterile, albero che rappresenta biblicamente il popolo di Israele nella sua infedeltà all’alleanza con Dio. Il padrone della vigna (cfr. Sal 80; Is 5) è il Padre che pianta in essa un fico; ma questo per tre anni non dà quei frutti di conversione (Lc 3,8) chiesti da Giovanni Battista. È giusta dunque la decisione del padrone: “Taglialo”. Ma il vignaiolo risponde: “Lascialo ancora quest’anno…”.
Con queste parole Gesù non chiede una proroga ma fa leva sulla pazienza del Padre, intercedendo con forza come Mosè (cfr. Es 34,9) e sapendo che nel cuore di Dio la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio (Gc 2,13). Infatti all’inizio Gesù chiede un anno, poi non ha paura di osare e dice “per l’avvenire”. La beata Madre Speranza spiega così la pazienza del Padre: Dio ci ama con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di noi. Una pazienza carica d’amore – continua Madre Speranza – che arriva a sopportare ogni infedeltà e a fare todo por amor, tutto per amore. La parabola resta aperta e ci scuote: Dio aspetta di vederci felici, rigogliosi, fruttiferi. Abbiamo bisogno di un rinnovamento interiore che porti concretezza, fecondità e gioia piena. Attingiamo quindi alla misericordia di Dio, più forte dell’evidenza del nostro peccato, e ogni giorno chiediamo allo Spirito un cuore nuovo. Prendiamo come esempio Antonio il Grande che, parlando di sé, diceva sempre: “Ogni mattina mi dico: oggi ricomincio!”.