Chi pensa che la scelta di Ratzinger sia stata dettata da paura e dal desiderio della restaurazione, di un ritorno indietro nella tradizione secolare della Chiesa in una specie d’illuminato conservatorismo, a mio avviso, non ha considerato l’animus di quest’uomo, ora divenuto Papa, come si è andato formando lungo i quasi ottanta anni di vita. Intelligenza brillante, una spanna sopra la media, ha impostato le sue ricerche sulle affascinanti prospettive di quella che si può chiamare la corrente calda della teologia cristiana, Agostino, Bonaventura, e con tenacia si è gettato nella costruzione di un pensiero aperto allo sviluppo della conoscenza del mistero di Cristo e della Chiesa, attraverso molte opere scritte e una intensa attività di studio e di insegnamento. Si è misurato così con il mondo moderno e con le ideologie dominanti prendendo da esse lo spunto per un puntiglioso superamento in nome di una integrale visione cristiana della vita. In questa sua posizione si è trovato nella schiera dei novatori al concilio Vaticano II come teologo esperto del card. Frings di Colonia. Dal 1981 a oggi, in questo lunghissimo periodo, Giovanni Paolo II lo ha investito del delicato e importante compito di vagliare lo sviluppo dottrinale della Chiesa e di tenere il timone dell’ortodossia cattolica in nome e per conto del magistero ecclesiastico. In questo compito egli ha osservato il panorama teologico e pastorale, nel contesto dell’orizzonte mondiale ed ha dovuto dire in coscienza dei ‘no’. Oggi qualcuno ne fa la conta e teme, in cuor suo, che continui a dire ‘no’ con fermezza, chiudendo ogni discorso e costruendo un ‘fondamentalismo cattolico’ che si ponga frontalmente contro il mondo moderno bollato sbrigativamente come ‘La tirannia del relativismo’. Tale ipotesi può sorgere in una comprensione immediata e ingenua che non tenga conto delle condizioni in cui certi pensieri si formano, determinate da un ruolo assegnato e assunto con responsabilità. Cambiando il ruolo e le condizioni soggettive, cambia il modo di leggere gli avvenimenti e considerare i segni dei tempi. Nell’omelia prima del conclave, quando ancora è il decano del sacro Collegio e Prefetto (sia pure decaduto per la morte del Papa) della Congregazione per la dottrina della fede, così come nelle meditazioni durante la Via Crucis al Colosseo, Ratzinger fa un quadro negativo, che può sembrare senza speranza, della situazione del mondo e persino della Chiesa. Ma dà anche una chiave di interpretazione in quella frase detta nella messa di apertura del Conclave: l’inquietudine interiore. Ha detto: ‘Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo’. Il nuovo Papa è un uomo ‘inquieto’, che descrive con questo termine il dinamismo della vita del cristiano e dell’apostolo. Non è solo l’inquietudine agostiniana della ricerca di Dio, ma quella di Caterina da Siena e di Francesco Saverio, di portare il fuoco del vangelo ovunque. Quest’opera non si fa tornando indietro o negando, ma correndo in avanti sorpassando la corsa del tempo. Questo slancio della mente e del cuore, anche se espresso con il garbo e la delicatezza sua propria, Benedetto XVI lo ha manifestato nella sua prima omelia da Papa. In latino. Forse per renderla più solenne, più universale, più sicura nelle espressioni. Ma in quel latino ci sono molti ‘sì’, ai giovani, a coloro che cercano la verità, al dialogo con le civiltà e le religioni. Un deciso ‘sì’ al Concilio Vaticano II e soprattutto, con parole inequivocabili all’ecumenismo che ritiene primario suo compito da portare avanti, spendendo ogni energia per favorire la ricomposizione della piena e visibile unità di tutti i discepoli di Cristo. Tutto il n. 5 dell’omelia è dedicato a questo tema. Ciò, penso, che basti per fugare remore e timori e lasciarsi prendere da quell’inquietudine che dovrebbe determinare un nuovo dinamismo nella vita di tutta la Chiesa, destinata a portare la luce di Cristo nel mondo.
Una santa inquietudine
Speciale Il Nuovo Papa
AUTORE:
Elio Bromuri