Siamo di nuovo lungo la strada. Gesù è ancora una volta in cammino: il suo è un eterno movimento, un percorso che fa per incontrare tutti gli uomini, ricchi e potenti, o emarginati e mendicanti, persone sole o malate che, seguendo Cristo, si avvicinano tra loro e creano relazioni forti. Viene in mente la Lettera ai Romani, dove Paolo fa tanti di nomi di gente che ha conosciuto. La Chiesa voluta da Cristo è una famiglia di persone che un giorno decidono di seguirlo. Per commentare questa pagina del Vangelo ricorriamo all’aiuto del biblista padre Ernesto della Corte, amico del nostro vescovo, mons. Mario Ceccobelli, e da lui chiamato per una settimana biblica memorabile tenutasi nella nostra diocesi nel settembre 2014. L’episodio ci presenta una persona, un cieco e mendicante, dunque qualcuno che ‘non contava niente’, tuttavia il Vangelo non solo dice come si chiamava lui, ma anche suo padre! Non può essere un caso; si vuol far capire che è un personaggio ‘importante’ (non dimentichiamo che, del tale ricco che se ne andò triste, il nome non si è mai saputo…). Il cieco è seduto: questo particolare, di nuovo non è casuale, sembra stare lì seduto come uno che non crede possa accadere qualcosa di bello, uno che non si aspetta niente, non cerca più, ripiegato com’è nella propria drammatica condizione. Poi un fatto di nuovo inaspettato: il mendicante “sente” che Gesù sta passando, e lo invoca con un’espressione che ritroveremo durante l’ingresso a Gerusalemme: “figlio di Davide”. Incredibile, ma il cieco sta svelando a tutti il “segreto messianico”, la vera identità di Gesù, ossia ciò che Gesù ha fin qui sempre impedito di rivelare agli altri miracolati. Sembra che, ora che sta per avere luogo la Passione, Gesù lasci pian piano capire che lui è veramente il Messia. Perché? Tra poco sarà evidente a quale “gloria” Gesù sta andando incontro e qual è il suo vero “trono”, la croce. Dunque il pericolo di equivoci non sussiste più. Il cieco grida verso il Signore, ed ecco la folla che lo rimprovera. Persone che si mettono in mezzo – e possiamo essere anche noi, che, pensando di fare bene, rischiamo di far allontanare chi vorremmo avvicinare a Lui. Gesù lo permette e la fede di quell’uomo viene messa alla prova, ma ne esce rafforzata, ché lui grida più forte. Gesù si ferma ma non lo chiama direttamente, lo fa chiamare da… quelli che volevano tappargli la bocca. In questo modo avvicina lui e recupera loro: che stile educativo!
Quante volte ci troviamo di fronte a un figlio che si è comportato male, a un alunno per nulla diligente o con evidenti difficoltà; se facessimo in modo che un fratello, un compagno lo avvicinasse e aiutasse, uno sarebbe risollevato, ma l’altro crescerebbe enormemente! Le persone andrebbero avvicinate, non fatte oggetto di chiacchiere e isolamento. Ora che Gesù lo fa chiamare, Bartimeo, con il suo “balzare in piedi correre e gettare il mantello”, ci dice l’entità della sua fede. Lui sì che lascia tutto quello che ha (il mantello lo salvava dal freddo della notte), ora è il piedi. Facciamo attenzione a questo fatto: Gesù non fa alcun gesto, l’uomo riacquista la vista solo per la sua fede, una fede nonostante l’essere cieco, emarginato, senza oggettive possibilità di salvezza. Da qui l’immagine finale: Bartimeo inizia a seguire Gesù. Questa è la salvezza, un uomo che si rimette in cammino ricomincia a cercare, ad aspettare, a sperare. Ma Gesù sta andando a Gerusalemme per subire la sua Passione, lo attende una nuova più drammatica “batosta”? Al contrario, il cammino dietro a Gesù, se è autentico, passa attraverso il dono della propria vita, fino alla croce, avendo fede nonostante. Si potrebbe fare un “gioco”, provando a continuare la frase: Nonostante i difetti della propria / del proprio sposo/a… nonostante un figlio si sia comportato male… nonostante una persona sia stata scortese… nonostante questo mese abbiamo finito i soldi… nonostante questo dolore/malattia… nonostante questa difficoltà nel lavoro… la fede in Gesù cosa mi porta a fare e dire? Scopriamo che viene fuori sempre qualcosa di inaspettato, paradossale, che ci fa essere migliori a beneficio nostro e degli altri! Queste contrarietà, chiamiamole pure “croci”, unite a quella di Cristo, possono farci scoprire possibilità inaspettate, che non pensavamo, e ci scopriamo non essere più nervosi, arrabbiati per ogni stupidaggine. Questa settimana abbiamo conosciuto l’esperienza di Giacomo “Jack” Sintini, campione di pallavolo che, guarito da un brutto linfoma, è tornato a vivere – e a vincere! – e che ora, grazie a questa esperienza vissuta con la forza della fede e dell’amore della sua famiglia, trascorre la vita – oltre a giocare – a portare a tutti un messaggio di speranza, con la raccomandazione a non sprecare la vita dietro a cose che non valgono niente, ma di amare ogni momento, dedicandosi anche a coloro che la malattia (lui l’ha sperimentato!) costringe all’isolamento, fino al punto di non lottare più, di mettersi seduti. Insomma, una fede nonostante.