Sulla comune onda dell’emozione che non risparmia nessuno, anche noi ricordiamo in queste pagine il Papa che ci ha lasciato. Il ricordo non è solo dovuto, né solo in pagina. Colui che ci ha lasciato ci ha prima segnato ed ha scolpito nell’animo un’impronta che durerà per la vita. Il fiume di persone che si sono recate a Roma in questi giorni e sono partiti come rondini al richiamo della primavera da tante parti della terra è perché sono state segnate ed hanno sentito come un soffio di vento che, senza sapere esattamente donde viene e dove va, si sono trovate di nuovo a fare i conti con quell’uomo che era diventato un punto di approdo, un simbolo riconosciuto. Ma senza astrattezze. Era un volto, una voce, un portamento, un essere umano concreto che ha sviluppato la sua metamorfosi corporea davanti agli occhi del mondo. Sempre sulla scena, nella forza e nella debolezza, nella gioia e nella passione. Un uomo appassionato. Ha fatto della passione per Cristo la regola normale della sua vita. Se c’è una parola che indica la sua dimensione ordinaria è quella della ‘totalità’, della ‘pienezza’ fino al colmo della possibilità umana. Ha amato fino all’estremo, ha gridato con toni forti e perentori, ha posato davanti alle telecamere, si è esibito in canti tra i giovani, si è sepolto nelle chiese e cappelle, dove ha potuto, in solitaria preghiera. Lo vogliono chiamare ‘Il Grande’. Ma forse è inadeguato e fuorviante perché indica una dimensione quantitativa, che pure c’è, ma non dice la qualità, il sentimento, il fuoco presente nelle parole, nei gesti, nella volontà di percorrere il mondo e di annunciare il vangelo. Una carità che gli bruciava dentro e lo ha portato a consumare il suo sacrificio. Le stazioni della sua via crucis personale fanno capire da quanto tempo il suo spirito sempre pronto, si è trovato a combattere con una carne sofferente. Ripensando solo al periodo del pontificato quasi subito, all’inizio, ha avuto l’attentato dal quale è miracolosamente scampato, lasciandogli addosso il segno del martirio. Ma è stato anche un trionfatore, un combattente che ha vinto della battaglie decisive per la Chiesa, per il cristianesimo e per l’umanità, se si pensa a quando è stato scelto, 1978, al tempo della crisi, del dubbio emergente, della aggressività di ideologie politiche assordanti e minacciose. L’anno dell’uccisione di Aldo Moro, tempi di paura e di fuga. Giovanni Paolo si è fatto ascoltare. Ha detto ‘aprite le porte’, che voleva dire prima di tutto ‘aprite gli orecchi’, ascoltate, ci siamo anche noi, ci sono io che vengo da lontano, c’è la Chiesa, c’è Cristo che conosce l’essere umano, c’è un Dio forte e misericordioso. Ha rimesso al centro e piantato nel cuore della storia contemporanea il pastorale con il Crocifisso che domina le teste e le folle che assiepano la piazza San Pietro e le piazze dei cinque continenti che ha visitato. Vessillo levato sulle nazioni al quale Carol Wojtyla non si è stancato di appoggiarsi, aggrapparsi, abbandonarsi fino all’ultimo, fino ad assomigliargli nella morte. La gente ha sentito, ha capito ed ha risposto. ‘Vi ho cercato e voi siete venuti’. Il Papa è morto, viva il Papa. La sua anima, il suo genio e la sua fede vivono nella Chiesa e resistono all’usura del tempo perché lui è nell’Eterno dal quale è venuto e nel nostro cuore dove ha seminato la speranza che non delude.
Ci ha segnato
Omaggio a Giovanni Paolo II
AUTORE:
Elio Bromuri