Alla fine ha prevalso il buon senso. La Presidente Maria Rita Lorenzetti, dimostrando serietà e responsabilità politica, ha ritirato la Deliberazione relativa alla concessione di contributi a favore di coppie di nuova costituzione (anche quelle non sposate purché senza vincoli di parentela) per l’acquisto della prima casa che aveva suscitato un coro di proteste. Rimane però l’esigenza di un approfondimento, perché dagli interventi che ci sono stati in questi giorni è risultata evidente la superficialità con cui si affronta un problema serio come la famiglia. C’è chi ha parlato di “scelte di civiltà”. Chi ha contrapposto la “concezione anacronistica della famiglia tradizionale” alla “concezione aperta e liberale delle unioni frutto di libere scelte a prescindere dal sesso”. Chi ha riesumato lo Stato etico, la morale e i matrimoni …di chiesa. Chi ha chiamato in causa persino i vescovi brasiliani, mescolando capra e cavoli. Un bel guazzabuglio! La questione in discussione è, invece, molto più semplice se solo si fosse liberi da pregiudizi e dotati di razionalità politica. Per sgombrare il campo da ogni approccio ideologico o confessionale occorre ribadire in premessa che nessuno può permettersi di dare giudizi morali o condanne alle persone che scelgono di convivere. Si giudica la situazione non le persone. C’è ancora da premettere che non sono in discussione i diritti individuali che lo Stato garantisce a tutti, compresi i conviventi e i loro eventuali figli. La cosa da approfondire è la seguente: quando una Istituzione pubblica decide di fare interventi a favore dei nuclei familiari in quanto tali, è giusto equiparare la famiglia di cui all’art. 29 della Costituzione alle coppie non sposate? Per me, la risposta è no. La sociologia c’informa dell’esistenza di ben 16 diversi tipi di famiglia. Esse tendono cioè a frammentarsi e a ridursi nelle dimensioni. Questa evoluzione sta indebolendo la famiglia tradizionale con molte disfunzioni nel capitale sociale: caduta della natalità, difficoltà di cura delle persone, maggior disagio giovanile e adulto, minor fiducia reciproca, minore appartenenza, una società civile più asfittica e meno partecipata, aumento dell’evasione scolastica, deterioramento della capacità lavorativa, aumento delle povertà e così via. Chi legifera non può essere neutrale o indifferente di fronte alle tendenze disgregatrici che minano alla base la vita sociale. Suo dovere è di avere chiaro il modello ideale di famiglia quale punto di riferimento per la progettualità sociale. Razionalmente questo modello non può che essere la famiglia fondata sul matrimonio, la quale mostra normalmente un più di stabilità e di dichiarata obbligazione sociale rispetto alle altre tipologie. Quando, invece, i poteri politici equiparano la famiglia tradizionale alle unioni di fatto, composte da persone che liberamente rifiutano lo status di famiglia, cadono in palese contraddizione. Ponendo, tra l’altro, un atto giuridico a senso unico: mentre si assumono delle obbligazioni nei confronti dei conviventi, questi non assumono alcuna pubblica obbligazione. Accettando così una ingiusta e deleteria “dissociazione” tra diritti e doveri: ai conviventi si riconoscono i diritti ma da essi non si esigono altrettanti doveri.
Prevalga il buon senso!
AUTORE:
Pasquale Caracciolo