“Il Signore ti ha nutrito di manna… e ha fatto poi sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima” (Dt. 8). Queste parole del Deuteronomio rivolte a noi, uomini e donne abitatori di città ricche e opulenti, ci invitano a riscoprire il senso di Dio perché le nostre città e i nostri paesi non siano simili ad un deserto: deserto di vita, di rapporti, di amicizia, di solidarietà.
Abbiamo bisogno più che mai di una nuova “manna” che nutra la nostra mente e i nostri cuori perché fioriscano nuovi comportamenti e la vita di tutti sia meno amara e più legata al Vangelo. Il “deserto” in cui spesso viviamo mette in pericolo la vita di tutti, sia nella stessa sopravvivenza che nella qualità della vita. C’è bisogno di un nutrimento nuovo perché nascano comportamenti nuovi. È quanto Gesù dice ai suoi ascoltatori nel Vangelo di Giovanni: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Non è un pane che viene da noi. E se anche viene portato dalle nostre mani sull’altare, è totalmente trasformato.
Non è più il pane delle nostre mense: è un pane che viene dalla mensa del cielo. Di questo pane dobbiamo nutrirci per divenire più simili a Gesù. Scrive l’apostolo Paolo ai Corinzi: “E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Tra i racconti degli antichi Padri del deserto ce n’è uno che riguarda il caso di una donna recatasi da un monaco per confessare i suoi peccati, intensificatesi negli ultimi tempi. Il monaco le chiese da quanto tempo non si nutriva dell’Eucarestia. La donna rispose: da più di un mese.
E il monaco concluse: “provi a non mangiare per un mese e poi verrà a dirmi in che stato si troverà il suo corpo”. Il saggio monaco metteva in risalto la forte analogia tra il nutrimento per il corpo (che tutti diligentemente osserviamo) e quello per il cuore (molto spesso trascurato). L’eucarestia è il nutrimento del nostro cuore perché sia sempre più simile a quello del Signore. Nel giorno del Corpus Domini è tradizione fare la processione: si vuole in tal modo onorare pubblicamente Gesù nell’Eucarestia. Vengono in mente le pagine evangeliche che descrivono il passaggio di Gesù tra la gente. Proviamo a guardare bene quell’ostia. Da essa nasce una nuova proposta di vita. In quel “pane” non è presente Gesù in qualsiasi modo. È un pane “spezzato”, perché è un corpo “spezzato”.
Quel “corpo” che noi veneriamo e che traversa le nostre strade, è un “corpo” che non si è risparmiato. Le riflessioni sarebbero lunghe a questo punto e abbraccerebbero un vasto orizzonte: come non pensare al crescente disimpegno verso i deboli, i poveri e malati, e dall’altra alla vera e propria ossessione per la cura del proprio corpo? Certo, chi può dire che non bisogna curare il proprio corpo? Sarebbe sbagliato non farlo (anche se c’è modo e modo). D’altra parte il pane eucaristico ci presenta un corpo che ha avuto più cura per gli altri che per se stesso. Non si è “spezzato” per caso o per destino: si è “spezzato” per non lasciarci affamati. È qui il mistero più vero dell’Eucarestia e della festa del Corpus Domini.