Una “famiglia” di tre persone

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia Santissima Trinità - anno A

La festa della Trinità, che il calendario liturgico latino celebra dopo la domenica della Pentecoste, apre l’ultimo e lungo periodo che chiude l’anno liturgico. È un tempo chiamato ” ordinario”, perché non ha nessuna memoria particolare della vita di Gesù che abbiamo “visto” ascendere al cielo. Tuttavia, non è un tempo meno significativo del precedente. Potremmo anzi dire che la festa della SS.ma Trinità proietta la sua luce su tutti i giorni che verranno sino all’inizio dell’Avvento; quasi a dilatare nel tempo l’abitudine che abbiamo di iniziare ogni nostra azione – e ogni nostra giornata – nel “nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

Se guardiamo un poco le nostre abitudini mentali, dobbiamo dire che il mistero della Trinità in genere è ritenuto poco significativo per la nostra vita, per il nostro comportamento. Poco importa, sia nella dottrina della fede come nell’etica, che Dio sia Uno e Trino. E per lo più è ritenuto un “mistero” che non riusciamo a comprendere. La Santa Liturgia, riproponendo questo grande e santo mistero alla nostra attenzione, viene incontro alla nostra pochezza e alla nostra inveterata distrazione.

Ho detto “ri-proporre”, perché questo mistero, in realtà, è presente e accompagna tutta la vita di Gesù, fin dal Natale. Anzi, accompagna tutta la storia dell’umanità, dalla creazione stessa, quando “Il Verbo era in principio presso Dio” e “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,2-3), come scrive Giovanni nel prologo al suo Vangelo. Questo sta a dire che già il momento della creazione è radicalmente segnato dalla comunione tra il Padre e il Figlio, sì da poter dire che ogni realtà umana è fatta di comunione e per la comunione.

Perché, dopo aver creato l’uomo, Dio dice: “non è bene che l’uomo sia solo”? La risposta è semplice. Perché lo aveva creato “a sua immagine e somiglianza”. E Dio, il Dio cristiano (ma dobbiamo domandarci se tanti cristiani credono nel “Dio di Gesù”!), non è un essere solitudinario, che sta in alto, potente e maestoso. Il Dio di Gesù è una “famiglia” di tre persone.

E questi tre, si potrebbe dire, si vogliono così bene da essere una cosa sola. Ma non basta. Non hanno trattenuto al loro interno la gioia che vivono. L’hanno riversata sugli uomini e le donne del mondo. Scrive Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). L’invio del Figlio non nasce da un obbligo giuridico, o da una esigenza di giustizia, semmai da una sovrabbondanza d’amore.

La Trinità non è altro che questo mistero sovrabbondante d’amore, che dal cielo si è riversato sulla terra superando ogni frontiera, ogni confine, anche ogni fede. Ed è come un’energia irrefrenabile per chi l’accoglie. Lo Spirito santo spinge, trascina verso Dio, verso la vita di Dio, ch’è pienezza di amore. La Trinità, questa incredibile “famiglia”, ha scelto di entrare nella storia degli uomini per chiamare tutti a far parte di essa. Questo è l’orizzonte finale che il mistero della Trinità oggi ci dischiude.

E tale orizzonte è senza dubbio la sfida più bruciante oggi lanciata alla Chiesa, anzi a tutte le Chiese cristiane; vorrei aggiungere a tutte le religioni, a tutti gli uomini. È la sfida a vivere nell’amore, proprio mentre sembrano prevalere le spinte verso l’individualismo, l’etnia, il clan, la nazione, il gruppo. La Trinità supera i confini, e in ogni caso li relativizza sino a distruggerli. È la sfida a vivere nell’amore. Certi che là dove c’è amore, c’è Dio. Lo aveva intuito bene il “profeta” dell’anonimo poema di Khalil Gibran: “Quando ami non dire: ho Dio nel cuore, ma piuttosto: sono nel cuore di Dio”.

AUTORE: Vincenzo Paglia