Il Consiglio comunale di Gubbio sarà presto chiamato a pronunciarsi su un tema destinato a provocare un dibattito ampio e approfondito. “Formalizzazione delle coppie di fatto e istituzione dei registri relativi alle convivenze”: la proposta è stata lanciata dal consigliere di Rifondazione comunista, Tognoloni. Le “profonde rivoluzioni sociali e del costume – scrive Tognoloni – hanno portato questo paese a non essere più lo stesso, in termine di Costituzione materiale, restando pur sempre vincolato alla forma per quanto riguarda l’articolo 29 in cui si limita la libertà del cittadino, legando in modo indissolubile la famiglia all’istituto del matrimonio”. Da qui la considerazione che “l’idea stessa di famiglia è aperta alla più varie interpretazioni” e non solo a “quella fondata sul matrimonio”. Il consigliere del Prc invita a distinguere tra “morale pubblica” e “diritto della persona”. Sulla scia di altre iniziative europee in questo senso, ha proposto al Comune di istituire “i registri di convivenza” per regolare così anche “i doveri di assistenza e le questioni successorie”. Il tema è molto complesso e la Chiesa sulla famiglia porta avanti una delle sue posizioni più nette e salde. Di recente anche il Forum delle associazioni familiari, di ispirazione cattolica, ha ribadito la rilevanza sociale del nucleo coniugale, tanto da ricordare come matrimonio e famiglia siano istituzioni naturali e originarie, che precedono la stessa potestà normativa dello Stato. Dunque, non un istituto privatistico, ma lo “snodo fondamentale tra la persona e la società”.Per questo nella famiglia c’è un valore aggiunto di stabilità e di dichiarata obbligazione sociale che va giuridicamente e socialmente premiato, senza che questo significhi disprezzare o penalizzare le altre forme di convivenza. “Mi auguro che il Consiglio comunale eugubino – ha commentato il vescovo, monsignor Pietro Bottaccioli – rifletta bene prima di accogliere la proposta del consigliere di Rifondazione. Mi sembra che, se resa operativa, non sia destinata ad avere alcuna rilevanza a risolvere situazioni particolari, cui diversamente si può prestare attenzione. Servirà invece a favorire nelle giovani generazioni quella instabilità affettiva che indebolisce già troppo le famiglie e i legami sociali”. Il Vescovo di Gubbio ritiene anche opportuna, prima di qualsiasi decisione da parte del Consiglio comunale, una fase di confronto e di dibattito pubblico con la presenza di esperti, “perché la cosa – sostiene monsignor Bottaccioli – non passi sopra la testa dei cittadini e soprattutto perché problemi di questo genere esigono una responsabile presa di coscienza”. Nel settembre scorso l’annuale Assemblea ecclesiale della diocesi eugubina aveva messo al centro del dibattito fra sacerdoti, religiosi e laici impegnati nei vari ambiti pastorali proprio il ruolo e l’identità della famiglia. Tra i relatori c’era la presidente del Forum delle associazioni familiari, Luisa Santolini, che aveva posto l’accento sull’importanza della famiglia come soggetto della vita sociale.In attesa che il mondo politico eugubino faccia sentire le sue analisi e le sue conclusioni, una prima valutazione sulla proposta è arrivata anche dal dottor Fabrizio Peccini dell’Ufficio diocesano di pastorale familiare. “L’argomento è delicatissimo e una analisi attenta sarà operata dall’Ufficio nella completezza dei suoi componenti. A titolo strettamente personale – commenta Peccini – la proposta suscita in me profonda amarezza, perché, pur rispettando la libertà dei singoli, ritengo la famiglia un istituto che ha una indiscussa dignità anche naturale”. Non mancheranno a breve anche altre prese di posizione, in vista del dibattito consiliare che sarà fissato per le prossime settimane. Il sindaco Orfeo Goracci, intanto, ci ha già fornito una prima valutazione sulla proposta di Tognoloni. “Ritengo che la famiglia sia uno dei cardini principali della nostra società – spiega nei corridoi degli uffici di via Sperelli – ma credo anche che non si debbano limitare le libertà e le preferenze dei singoli”. E’ lo stesso primo cittadino a riconoscere alla proposta una validità quasi esclusivamente culturale e ideologica. In concreto – infatti – il registro comunale delle convivenze potrebbe avere una rilevanza pratica molto limitata senza una legislazione statale complessiva diversa da quella che, anche di recente (ad esempio con la nuova normativa sulle adozioni che esclude le “coppie di fatto”), ha confermato di voler continuare a tutelare la famiglia fondata sul matrimonio, sia esso religioso che civile. Sulla proposta lanciata dal consigliere comunale di Rifondazione comunista, Gabriele Tognoloni, abbiamo intervistato il vescovo di Gubbio, monsignor Pietro Bottaccioli. Monsignor Bottaccioli, come giudica la richiesta dell’istituzione dei registri relativi alle convivenze?La richiesta del consigliere di Rifondazione comunista si pone sulla linea del tentativo di equiparare altre forme di convivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. Si tratta di una sfida alla famiglia concepita dalla Chiesa cattolica e come, pur laicamente, riferendosi al matrimonio civile, la ritiene lo Stato all’articolo 29 della Carta costituzionale. Qual è la posizione della Chiesa sulle convivenze more uxorio?Le unioni di fatto sono incompatibili con l’insegnamento della Chiesa secondo la quale l’ unica forma di convivenza stabile tra un uomo e una donna battezzati è il matrimonio sacramento, monogamico e indissolubile. I cristiani non sposati ma conviventi, anche se non possono accedere ai sacramenti della Penitenza e della Eucaristia, non sono messi fuori dalla Chiesa, la quale, a sua volta, con spirito di comprensione umana e cristiana, deve informarsi dei motivi che hanno portato a scegliere la convivenza cercando di appianare le eventuali difficoltà che i conviventi possono avere a celebrare il Matrimonio religioso. Dietro le convivenze si trovano situazioni diverse che hanno in comune l’assenza di istituzionalizzazione. Nonostante che alcune correnti politiche e grande parte dei mass media presentino il riconoscimento delle unioni di fatto come la risposta a una domanda che nasce da vari strati della popolazione, le coppie di fatto secondo il rapporto Istat 1999 sono 340.000. Guardando poi dentro le cifre la maggior parte delle convivenze sono “obbligate” o “transitorie”, cioè convivenze che si risolvono nel matrimonio o che sono scelte per impossibilità di contrarre nozze regolari. In presenza poi a distanza di anni di una sostanziale stabilità del fenomeno induce a pensare che la convivenza nella sua forma più diffusa in Italia costituisce una transizione verso il matrimonio e non un modello alternativo al matrimonio. E’ discriminante secondo lei il favore sancito dalla Costituzione per la famiglia fondata sul matrimonio?Certamente l’ordinamento giuridico privilegia la famiglia fondata sul matrimonio perché costituisce la forma giuridica della convivenza di coppia obiettivamente insuperabile per garanzia di certezza, stabilità di rapporti e serietà dell’impegno assunto. Ma non è l’articolo 29 della Costituzione a discriminare convivenze di fatto nei confronti della famiglia fondata sul Matrimonio. E’ la natura delle due convivenze non assimilabile e questa non assimilazione è voluta dalle stesse parti che nel preferire un rapporto di fatto hanno inteso sottrarsi al complesso di diritti e di doveri derivanti dal matrimonio. Si cadrebbe addirittura nella contraddizione se si facessero discendere vincoli giuridici proprio da un fatto che le parti hanno voluto far restare fuori della sfera giuridicamente rilevante. Nella convivenza sottratta alla regolamentazione giuridica e fondata su quella che si dice “affectio quotidiana” (sentimenti giornalieri), per sua natura liberamente revocabile prevale una impostazione individualista caratterizzata dall’accentuazione della priorità dei diritti e della libertà del singolo rispetto alla coppia: la famiglia, fondata sul matrimonio, si configura invece come una stabile istituzione “sovraindividuale” in cui acquistano preminente rilevanza le esigenze obiettive del nucleo familiare piuttosto che quelle individuali del singolo. Questo non vuol dire non riconoscere alcune garanzie per risolvere situazioni personali complesse e meritevoli di attenzioni ma, al riguardo, ci sono già strumenti offerti dall’ordinamento giuridico che dovrebbero però essere fuori dell’ordinamento matrimoniale che deve essere salvaguardato nella sua specificità. Nel mondo cattolico si parla anche del principio di sussidiarietà come criterio regolatore dei rapporti dello Stato nei riguardi della famiglia fondata sul matrimonio. Che vuol dire?Riconoscendo la famiglia fondata sul matrimonio come società naturale lo Stato deve riconoscere che la famiglia è una società che gode di un diritto proprio e primordiale e pertanto nelle relazioni con essa è obbligato ad attenersi al principio di sussidiarietà. Il che implica che lo Stato riconosca il ruolo e la titolarità della famiglia in tutti quegli ambiti in cui sono in gioco i suoi diritti primari e inalienabili. Ne consegue che lo Stato non può indebitamente sostituirsi a essa mentre dall’altra parte è tenuto a sostenerla nella realizzazione delle sue prerogative. Su questo tema della soggettività sociale della famiglia la nostra Assemblea diocesana del settembre scorso ha avviato un suo approfondimento per una nuova coscienza troppo a lungo mortificata dalla relegazione nel privato in cui è stata tenuta la famiglia stessa.
Un registro delle coppie di fatto oltretutto sarebbe inutile
Consiglio comunale chiamato a dibattere su una proposta di Tognoloni (Prc)
AUTORE:
Giampiero BediniDaniele Morini