Sabato 1 dicembre le Acli di Perugia, unitamente a quelle di altre 50 province d’Italia, hanno presentato i risultati del “Progetto lavoro”, attraverso il quale le associazioni cristiane lavoratori italiani hanno cercato di dare un volto e una voce alle preoccupazioni legate al problema lavoro e alle attese e alle speranze che vi sono connesse. Sono stati individuati quattro soggetti, dietro ognuno dei quali c’è una particolare situazione di disagio, una carenza di opportunità o un mancato diritto. Innanzitutto i giovani. Sono loro a essere i più interessati dal fenomeno della cosiddetta flessibilità. Indagando sulla loro condizione è stato possibile individuare regole, diritti e tutele per renderla sostenibile. In secondo luogo la famiglia, il cui rapporto con il lavoro – così come era configurato in Italia nei decenni dell’industrializzazione – è fortemente in crisi e lacerato da innumerevoli tensioni. Eppure essa continua a essere un elemento determinante per garantire un’equa ripartizione del reddito, opportunità d’accesso, stimolo e sostegno alla formazione iniziale e permanente. Da ciò l’urgenza della ricerca di un nuovo equilibrio tra i vincoli del ruolo lavorativo e le esigenze della vita familiare. Il Progetto lavoro delle Acli si è anche occupato di un’emergenza specifica del mercato del lavoro italiano: gli occupati adulti (ultraquarantenni e cinquantenni). Una consistente quota di essi è fortemente tutelata finché si trova all’interno del mercato del lavoro, ma subisce forti penalizzazioni quando ne esce: per scelta, per motivi familiari o quando ne è espulsa a causa delle frequenti ristrutturazioni e dei licenziamenti. In questo caso l’età, il livello culturale, l’esperienza professionale li rendono difficilmente ricollocabili e li spingono verso un destino di disoccupazione di lunga durata. Tutto ciò ne fa una categoria per la quale occorrono politiche e interventi mirati e efficaci. Infine l’ultimo soggetto: gli immigrati, i quali sono ormai una componente stabile del nostro mercato del lavoro, che pone problemi nuovi di tutela, di integrazione sociale e culturale e richiedono la nascita di una nuova famiglia di politiche sociali. Si è poi parlato della gestione della flessibilità, sia rifiutando modelli di flessibilità illimitata sia adottando misure che rispondano a un’idea di flessibilità sostenibile. La flessibilità deve diventare spazio di libertà e di opportunità, non dunque di precarizzazione del lavoro: solo così si fa sostenibile. Nel “Manifesto” delle Acli viene indicata la necessità di una partnership tra le famiglie e istituzioni per conciliare crescita personale, sviluppo professionale e ruoli familiari e riconoscere che i servizi per le famiglie possono diventare un volano di nuova e buona occupazione. Le Acli ricordano infine che il non profit o Terzo settore è diventato ormai un soggetto non trascurabile nella creazione di lavoro nei servizi alla persona, nonché l’agente più significativo di inserimento al lavoro di persone che il mercato non collocherà mai. La parte finale del “Manifesto” è dedicata al mercato del lavoro. Domanda e offerta non si incontrano; c’è un indicatore esplicito di questa situazione, il collocamento riesce a inserire al lavoro solo il 4% delle persone iscritte. Occorre, secondo le Acli modificare radicalmente la legge di riforma del collocamento, rompere il sistema dei compartimenti stagni e realizzare, dopo quello per le imprese, lo sportello unico per le persone! Non si può infine continuare a tagliare fuori, come ha fatto la legge di riforma, i comuni dalla gestione dei servizi per l’impiego.