La scarna notizia di un figlio, Daniele Maccarinelli di 32 anni, che ha donato parte del suo fegato al padre sessantenne per un trapianto che è stato realizzato per la prima volta in Italia da vivo a vivo, suscita emozione e riconcilia con la nostra generazione e con i rapporti di amore tra figli e genitori. Non è un dono qualsiasi, ma un pezzo della propria vita che viene messa a rischio. Poco tempo fa a Lione è morto nel donare il fegato un fratello di un paziente. Sono più frequenti i donatori di rene anche se comportano sempre un atto di coraggio e una forte motivazione interiore. Tali gesti dovrebbero servire di ammonizione a coloro che ancora pongono delle resistenze al trapianto da cadavere e determinano con le loro riserve delle remore al processo legislativo in materia. Nel riflettere sulla questione si dovrebbe considerare la lunga lista di attesa di coloro che solo nel trapianto possono sperare di riavere un livello di vita accettabile e spesso di guarire perfettamente. Per il trapianto di fegato sono in attesa nel nostro Paese oltre 900 malati. A me che non so niente della materia basti sottolineare la presenza di questa dimensione di solidarietà e la professionalità di medici che, senza clamori, si pongono al servizio della vita. Sono da apprezzare anche tutte quelle iniziative pubbliche (politiche e amministrative) e private che promuovono la ricerca scientifica, l’ organizzazione sanitaria, l’accoglienza e l’assistenza ai malati. Uno sforzo in questa direzione non è mai sufficiente per il numero dei casi e il costo degli interventi per cui ognuno dovrebbe rendersi conto di quanto sia importante che, pur denunciando quella che viene chiamata malasanità quando c’è da denunciare abusi o omissioni, faccia anche quella parte che ogni cittadino può e deve compiere, almeno non sprecando mezzi ed energie quando non c’è una reale necessità, non aggravando il carico già così pesante che la società deve sostenere per garantire un’adeguata cura ad ogni cittadino a prescindere dal suo reddito. Di segno nettamente contrario altre notizie di questi giorni, non solo quelle relative di nuovo (ahimè!) al fuoco che ha ucciso una bambina disabile in una scuola. Ho letto che tre persone (dico tre) sono riuscite a paralizzare un aeroporto come Fiumicino, forti del loro potere contrattuale. Vi sono nella nostra società, come semprez d’altra parte, esempi fulgidi da esaltare e forme di parassitismo e prepotenza spesso compiute da persone che rimangono nascoste, imboscate nelle pieghe della società, pronte a sfruttare ogni occasione a loro favorevole anche a danno di una moltitudine di persone e persino di un’intera società. Non dico che ciò sia di questa o di quella categoria di lavoratori dei trasporti o dei servizi: probabilmente avranno le loro ragioni. Ma le ragioni dei singoli individui non possono essere disgiunte da quelle degli altri in una prospettiva di bene generale. E’ una cultura della vita intesa come dono che si deve ricostruire come segno di civiltà e motivo di speranza.
La vita come dono
AUTORE:
Elio Bromuri