Ogni volta che si riflette sulla donna, come in occasione dell’8 marzo, si dovrebbe riflettere anche sul significato della differenza sessuale, per cui ormai si deve tenere sullo sfondo anche la questione del gender. Questa però, che pure è questione antropologica delicata per i contenuti che veicola e per le modalità in cui vuole essere proposta, è stata osteggiata in ambiente cattolico con tali toni da arrivare all’eccesso opposto.
Ma, se è giusto sollevare il dubbio su una concezione della sessualità come quella dell’ideologia di gender, che considera insignificante la corporeità concreta, al punto che il proprio orientamento sessuale viene del tutto sganciato dal corpo in cui il sesso stesso si esplicita, allo stesso modo si deve sollevare il dubbio su una concezione della sessualità che fa della fisiologia l’unico elemento importante, senza dare spazio alla libertà e alla cultura, che sempre inevitabilmente condizionano il nostro modo di essere femmine e di essere maschi. E mentre alcuni cercano di insegnare ai bambini di 3 anni che possono non essere maschi anche se di fatto lo sono, altri cercano di veicolare le “belle idee” di una volta per cui uomini e donne hanno due nature diverse e sono fatti per ruoli ben distinti: cosa pubblica e autorità gli uomini; ambito privato e passività le donne.
Fra questi due litiganti, c’è però un terzo che gode: il maschilismo, perché di nuovo vengono sacrificate la piena emancipazione delle donne e l’autentica valorizzazione della differenza sessuale.
Basta con gli stereotipi!
Possiamo davvero pensare di essere una credibile e gustosa alternativa all’ideologia di gender, se non sappiamo esprimere la bellezza della differenza sessuale in tutta la sua interezza e la riduciamo a fisiologia, retorica e ruoli stereotipati? La ricchezza della differenza sessuale non è solo biologica – anche se sul corpo si fonda e in esso si esprime – e non è mai questione di ruoli o di compiti, perché questi dipendono dall’indole e dalle scelte delle persone, nonché dal contesto culturale.
La ricchezza della differenza sessuale invece sta nella relazione reciproca di uomini e donne, che hanno del mondo e di Dio un’esperienza diversa, ma egualmente ricca. Diversa, perché l’esperienza si fa sempre tramite il corpo e il corpo di maschi e femmine è diverso; egualmente ricca, perché il femminile e il maschile sono le due forme in cui si dà l’unica natura umana, che non è uniforme e monotona, ma duale, rivelando che l’essere umano è anzitutto relazione d’amore: con Dio e con l’altro. L’essere sessuati ci insegna questa verità profonda dell’identità umana: io sono per l’altro da me, per arricchirmi di lui e arricchirlo con la mia diversità, al contrario di ogni discriminazione e di ogni stereotipo ghettizzante.
Gesù non ha avuto timore di vivere questa squisita dinamica, rapportandosi liberamente con amiche e discepole, imparando dalle donne a leggere la volontà del Padre, come di fronte alla cananea che gli chiede di guarire la figlia o davanti alla Madre alle nozze di Cana, affidando alle donne l’annuncio decisivo della risurrezione, parlando con loro di Dio. Seguendo questo Maestro, non dovremmo costruire una Chiesa che sia comunione di fratelli e sorelle reciprocamente in relazione e a servizio? Una Chiesa siffatta sarebbe davvero un segno della comunione che Dio sa realizzare.
Le domande cruciali
La domanda allora è: quando riusciremo a non stare più con quelli che preparano per le nostre bambine un futuro mediocre? Quando ci metteremo dalla parte di quelli che sono felici delle nuove possibilità di vita offerte alle donne e sognano una società in cui la fatica della procreazione venga egualmente condivisa? Quando diremo chiaramente che la promozione delle donne non è una rivendicazione di categoria, ma una risorsa per l’intera umanità?
Io voglio rispondere: presto. Per le bambine agghindate come Veline predisposte a pensare che il proprio valore consista nell’essere sessualmente desiderabili, per le studentesse brillanti che saranno discriminate sul posto di lavoro perché potenzialmente madri, per le piccole lettrici curiose a cui qualcuno, magari durante l’omelia, spiegherà che, a prescindere da qualsiasi cosa vogliano fare, quello che veramente conta è che rendano la casa accogliente e si carichino da sole del peso dei figli; per mia figlia, la mia intelligente e volitiva Caterina, che voleva fare il maschio perché qualcuno le aveva detto che libri e costruzioni sono per i maschi e cosmetici e lavori domestici sono per le femmine e che si è subito pacificata quando le ho detto che poteva essere una femmina e fare quello che preferiva; per Maria Sole che sa rallegrare e far disperare i fratelli con la sola presenza; per Francesca che a 13 anni mi ha chiesto perché gli uomini hanno una vita più facile; per Ester che divora libri e si guarda intorno con gli occhi più grandi del mondo.
Per loro e per tutti, io spero che la Chiesa sappia essere sempre di più, anche per le donne, segno profetico della liberazione e dell’amore di Dio.