Mentre ci avviciniamo al Natale, la Liturgia ci viene incontro con la memoria della Madre di Dio. La festa è legata al dogma dell’Immacolata Concezione, suggerito nel Concilio di Basilea (1439) e proclamato da Pio IX nel 1854. La Chiesa ricorda Maria, preservata dal peccato originale sin dal suo concepimento. Su di lei si è posato lo sguardo di Dio che l’aveva scelta Madre del Figlio Suo. Lo nota bene sant’Anselmo: “Era giusto che fosse ornata d’una purezza superiore alla quale non se ne può concepire una maggiore se non quella di Dio stesso”.
L’amore del Figlio, dunque, ha protetto la Madre. La santità del Figlio, ha reso santa la Madre. E possiamo ascoltare la dolcezza delle parole del Cantico dei Cantici: “Sei tutta bella, o mia diletta, e in te non v’è alcuna macchia” (4, 7). Ma tale mistero non è tuttavia estraneo a noi. Si potrebbe dire che, come Dio ha posato su di lei il suo sguardo nel momento del concepimento, così l’ha posto anche su di noi. Lo scrive l’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati” (Ef 1, 4).
Certo, Maria è stata scelta per essere immacolata in modo del tutto particolare in vista del Figlio. Ma anche noi, seppure in modo diverso, siamo stati scelti “in lui… prima della creazione, per essere santi e immacolati”. L’apostolo dice “siamo stati scelti” e non “abbiamo scelto”. Ognuno di noi, infatti, è un nome pronunciato da Dio ed è venuto all’esistenza così com’è scritto: “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Gn 1, 3). Siamo frutto dell’amore di Dio; il suo cuore ci pensa e noi veniamo alla luce. L’opera dei genitori si inserisce in questo processo d’amore del Signore, che resta l’autore della vita. Il nostro nome, la nostra vita, inizia nel cuore di Dio e in esso è chiamato a tornare e a dimorare per sempre. Ecco perché la Chiesa continua ad affermare senza tentennamenti che la vita è santa; tutta la vita, dall’inizio e per sempre. E a nessuno è lecito deturparla. Sappiamo che la storia degli uomini è segnata da sempre e radicalmente dal peccato originale.
È una condizione che la prima pagina della Scrittura ripropone alla nostra riflessione. La vicenda di Adamo ed Eva riguarda ogni uomo e ogni donna che viene nel mondo, riguarda ciascuno di noi. La libertà che il Signore aveva messo nelle loro mani si è trasformata in strumento di devastazione: ha frantumato l’amicizia con Dio, ha spezzato la fraternità, ha interrotto l’armonia del creato. Sotto la suggestione del tentatore l’uomo e la donna hanno concepito un disegno diverso, contrario a quello di Dio.
È una storia che continua ancora sino ai nostri giorni. Ma dal giorno del “sì” di Maria non è più una storia dominata dal male. La Scrittura parla di una inimicizia che Dio stesso ha posto tra il serpente e la donna. E quella donna è Maria. In lei è accaduto il contrario di quanto avvenne nel paradiso terrestre. Maria non è caduta sotto le insidie del serpente, anzi l’ha schiacciato con il suo calcagno. Con lei è iniziata una nuova storia. Non parte più dal paradiso terrestre, ma da un oscuro villaggio della periferia dell’Impero romano, dentro una misera casupola di una povera e sconosciuta ragazza di Galilea. In quel luogo, dimenticato dagli uomini ma non da Dio, avviene un dialogo opposto a quello di Adamo ed Eva nell’Eden dopo la disobbedienza a Dio. Già le prime parole che l’angelo rivolge alla ignara ragazza di Nazareth ci introducono in questo alto e singolarissimo mistero: “Ti saluto o piena di grazia (letteralmente ‘ricolma di grazia’) il Signore è con te”.
Piena di grazia, ossia a tal punto ricolma dell’amore di Dio da essere radicalmente preservata dal peccato. Ella, scelta in modo così singolare da Dio, diveniva il primo tempio dei nuovi tempi della salvezza. In Maria, Dio aveva trovato la prima adoratrice dei tempi nuovi. Ella si turba al sentire un tale saluto: conosce bene la sua pochezza e la sua povertà davanti a Dio. E la conosce non per naturale umilismo o per un pudico ritegno: l’ascolto delle Scritture, la recita dei salmi e la preghiera di ogni giorno, avevano formato in lei la coscienza della sua nullità di fronte alla grandezza di Dio.
E in questo Maria si inseriva nella schiera dei grandi uomini religiosi d’Israele, di Mosé e dei profeti, i quali si gettavano con la faccia a terra turbati, davanti alla presenza di Dio e dei suoi angeli. Del resto è esperienza spirituale di ognuno sentirsi turbati ogni qualvolta si ascolta il Vangelo con il cuore. L’angelo, tuttavia, non si ferma (mai l’amore di Dio si rassegna!) e conforta quella giovane creatura: “Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio… e lo chiamerai Gesù”. Queste parole, in verità più che confortare la turbano ancora di più, ed ella è pronta ad obiettare: “Com’è possibile? non conosco uomo?”.
È il dialogo del Vangelo con la nostra vita; se avviato non lascia le cose come sono, chiede anzi una crescita della coscienza e una adesione sincera del cuore, perché la vita porti frutti abbondanti. Il Vangelo ha progetti ambiziosi sulla vita di ognuno: è la vocazione a cui Dio chiama ciascuno. L’umiltà di Maria, pertanto, non è umilismo di maniera e neppure falsa modestia che nasconde una radicata pigrizia pronta a fuggire le esigenze del Vangelo. Il Signore conosce bene la nostra debolezza, ma non è rassegnato ad essa. Certo, se dovessimo partire da noi stessi tutti dobbiamo dire assieme a Maria: “Com’è possibile?” Ma se è il Signore ad operare, tutto è possibile. “Lo Spirito santo scenderà su di te, e su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”, le risponde l’angelo.
A lei spetta solo riconoscere questo dono e accoglierlo. Ed è quanto ella compie rispondendo all’angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga a me secondo quello che hai detto”. Così si chiude questa pagina evangelica che in verità apre la nuova storia di salvezza: l’incarnazione del Figlio di Dio.