In occasione della festa del Primo maggio la Chiesa italiana, attraverso gli Uffici e le Consulte pastorali regionali che si occupano dei problemi sociali e del lavoro, propone una riflessione sulle questioni calde che l’Italia sta vivendo nel campo politico-sociale.
Quello che presentiamo in questa pagina è il documento elaborato nelle sue linee fondamentali dalla Consulta nazionale (attraverso il confronto con vari esperti tra cui anche Marco Biagi, il consulente del Governo assassinato dalle BR), e definito dalle consulte regionali per gli aspetti specifici dei diversi territori.
Per l’Umbria viene evidenziato un andamento “preoccupante” dell’economia con circa novemila posti di lavoro persi negli ultimi mesi mentre in Italia si registra un generale aumento dell’occupazione. Il documento richiama i principi della Dottrina sociale della Chiesa per “orientarsi in questa difficile situazione”, e si conclude con un richiamo a parti sociali e Governo per una ripresa del dialogo che serva il “bene comune”.
La Chiesa che è in Umbria, unitamente alle altre Chiese, il Primo maggio 2002 celebra la Giornata della Solidarietà con il Mondo del lavoro. Quest’anno la ricorrenza civile cade in un momento particolarmente delicato segnato da grandi tensioni che attraversano l’intero paese. Lo scontro sociale intorno alla modifica di alcune norme dello Statuto dei lavoratori si è acuito mentre la violenza assassina del terrorismo ha di nuovo colpito uno studioso del mercato del lavoro. Questi eventi interpellano la coscienza cristiana e in particolare i credenti impegnati nel mondo del lavoro della nostra regione.
La Giornata della Solidarietà vuole essere un’occasione di riflessione per una presa di coscienza della difficile fase di transizione e per una assunzione di responsabilità da parte di tutti.
1. Analisi autorevoli e ampiamente condivise da esperti non ravvisano nel momento presente una situazione di crisi tale da giustificare misure fortemente penalizzanti nei riguardi dei lavoratori. La debolezza dell’economia italiana non pare dipendere solo dalla rigidità del lavoro, ma anche da altri fattori: una crescita inferiore alla media europea, una disoccupazione superiore sempre in riferimento alla media europea, scarsi investimenti dall’estero e accentuato distacco del Mezzogiorno dal resto del paese. Veri e propri nodi strutturali per la crescita economica sembrano essere: la carenza nei trasporti, la scarsa disponibilità e l’elevato costo dell’energia, la formazione professionale precaria, la burocrazia che affligge la vita delle imprese, la piaga del lavoro nero. Con riferimento all’Umbria gli andamenti dell’economia e della occupazione assumono caratteristiche preoccupanti, in controtendenza rispetto agli indici nazionali. In particolare per l’entità dei posti di lavoro perduti negli ultimi mesi (circa 9000) e per il più elevato tasso di disoccupazione (6,1%) prevalentemente giovanile e intellettuale.
2. Per quanto riguarda i rapporti di lavoro si può rilevare che, a seguito della introduzione delle nuove tecnologie e soprattutto per far fronte alla crescente competizione internazionale, le aziende hanno richiesto ed ottenuto nuove e molto diversificate forme di flessibilità: dal lavoro interinale alla collaborazione coordinata e continuativa, dal “tempo determinato” al part time orizzontale e verticale, per non parlare della mobilità e dei prepensionamenti. Si delinea così un mondo del lavoro molto diversificato dove, a fianco dei lavoratori tutelati (“a tempo indeterminato”), c’è una realtà crescente di lavoratori che godono di tutele minime (anzi, inesistenti nella vasta area del sommerso) e di prospettive occupazionali incerte. Sussiste, latente, una questione giovanile che potrebbe sfociare in un conflitto intergenerazionale (i padri garantiti e i figli senza tutele).
3. Questa situazione sta creando fra i lavoratori italiani un diffuso senso di preoccupazione legato spesso a oggettive condizioni di precarietà. C’è molta insicurezza fra i cinquantenni coinvolti nei processi di ristrutturazione aziendale; c’è difficoltà a scommettere sul futuro per i giovani. Il disagio è diffuso. Questo fenomeno coesiste con situazioni in cui si continua, anche in età avanzata, un ritmo di lavoro frenetico e ingiustificato.
4. Tutta l’Europa sta avvertendo l’esigenza di modificare e di armonizzare le politiche del lavoro. In particolare l’Italia, fin dalla scorsa legislatura, sta vivendo una transizione da politiche prevalentemente passive (Cassa integrazione e lavori socialmente utili.) a politiche attive (indennità di disoccupazione, formazione professionale permanente, orientamento e incentivi per l’impiego o il reimpiego). Occorre trovare un difficile equilibrio tra flessibilità e sicurezza.
5. Per orientarsi in questa difficile situazione può essere utile richiamare alcuni elementi fondanti dell’insegnamento sociale cristiano sul lavoro. Il lavoro è un diritto – dovere dell’uomo ed è da enumerarsi tra i diritti inalienabili e inviolabili della persona umana. Nessun mutamento sociale e nessuna trasformazione del lavoro stesso possono giustificare la violazione di questo diritto. Questo comporta l’affermazione della centralità dell’uomo anche nel processo produttivo: di conseguenza tutto deve ruotare attorno a questo principio, la produttività come il profitto, la flessibilità come la competitività e il mercato. Va rilevato che anche le nuove teorie sull’organizzazione del lavoro confermano queste tesi dell’antropologia cristiana. Non si può perpetuare l’errore di mettere le strutture o l’economia, la finanza e la politica prima dell’uomo. Il soggetto del lavoro è, e rimane, l’uomo: su questa legge fondamentale si deve costruire una legislazione che rispetti la persona umana e la sua eminente dignità, fondamento di una società ben ordinata.
6. In questa difficile fase di transizione e in questo clima sociale dominato dall’incertezza, la decisione di cancellare una tutela (significativa) senza proporre (contestualmente) un disegno complessivo (e coperto finanziariamente) di riforma delle politiche del lavoro appare poco convincente e finisce di produrre nel tessuto sociale lacerazioni nocive e controproducenti che sfociano in giustificate proteste sociali.
7. Non è prudente provocare un nuovo scontro sociale tra capitale e lavoro proprio nell’epoca in cui “la risorsa umana” viene evocata da tutti come centrale e prioritaria. Va ora riaffermata l’importanza fondamentale del rapporto tra le parti sociali nel riconoscimento dei loro ruoli: da una parte infatti l’impresa contribuisce a creare sviluppo, dall’altra il sindacato tutela la dignità del lavoro e la solidarietà. L’intervento delle istituzioni, e in particolare del Governo, deve ricercare il dialogo sociale e servire il bene comune, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Senza coesione sociale infatti non c’è vero sviluppo.