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Fare silenzio per ridare il giusto peso alle parole

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È un’occasione da non perdere, la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che non a caso cade nella festa dell’Ascensione. Ci permette di riflettere sulla comunicazione che riceviamo e quella che facciamo, sia con gli strumenti naturali, la voce, l’immagine, il portamento, gli atteggiamenti, i gesti, gli sguardi, quella che si chiama la comunicazione verbale e non verbale, sia, in questo caso soprattutto, sulla comunicazione che passa attraverso i mezzi artificiali e virtuali, quali sono la carta stampata, la radio, la televisione, internet, cellulari e altro.

È stata pensata dalla Chiesa come “Giornata mondiale” per riflettere, pregare, attivarsi ed anche raccogliere fondi per sostenere l’annuncio del Vangelo, usando tutti gli strumenti a disposizione. In maniera ufficiale e solenne è stata indetta 46 anni fa dai Vescovi convenuti da tutto il mondo per il Concilio Vaticano II (1962 -1965). Essi, profeticamente, hanno sentito la comunicazione sociale come uno dei problemi centrali della nostra attuale società e una risorsa decisiva per la trasmissione del Vangelo e dell’umanesimo cristiano di generazione in generazione.

La missione dei cristiani di evangelizzare il mondo sarebbe debole, limitata, incompleta senza il ricorso a questa stupenda ed efficace opportunità che la civiltà dei media offre, ma di cui troppo spesso si avvalgono i mercanti e gli speculatori di ogni tipo. Benedetto XVI nel Messaggio che ha scritto per questa Giornata indica “silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone”.

Un Messaggio che, nel commento di un biblista come padre Giulio Michelini (vedi articolo a pag. 16), fa emergere le profonde risonanze evocatrici della Parola creatrice di Dio, che tace il settimo giorno, e il silenzio di Gesù durante la Passione, ove parla in altro modo. Mettere insieme silenzio e parola non è solo un esercizio di maturazione per la persona del comunicatore, giornalista, educatore, ma è anche un richiamo alla verità e al senso del comunicare per fare comunione. Non ci può essere comunione senza comunicazione. Modestamente, noi con La Voce pensiamo di essere al servizio di questo impegnativo compito: comunicare tra credenti, tra credenti e non credenti, tra Chiesa e mondo, tra scienza e fede, tra diversi sentimenti e opinioni, per contribuire a costruire una comunità che “si tiene” perché si apprezza, si comprende, e perfino si ama. “Parlami, perché io ti veda” (ti conosca) dice Socrate.

Oggi, è banale dirlo, il tema della comunicazione vale per l’ambito educativo, politico e religioso. Le parole sono diventate troppo spesso pietre che ci si tira addosso gli uni contro gli altri, ed anche i silenzi sono diventati mutismo, incomunicabilità e omertà più che meditazione, contemplazione e ricerca di senso. E la guerra della parole alimenta la guerra finanziaria dei mercati (mercanti).

Benedetto XVI ammonisce “i cristiani a farsi annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace. Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo”.

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